La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25225 del 10 novembre 2020, ha affermato che, in caso di illegittima lesione del diritto soggettivo all’assunzione alle dipendenze di una pubblica amministrazione, è diritto del lavoratore danneggiato ottenere il risarcimento del danno per la perdita delle retribuzioni, ma non di quello relativo alla mancata costituzione della propria posizione previdenziale presso l’assicurazione generale obbligatoria.
I fatti di causa vedono una lavoratrice impugnare giudizialmente il provvedimento che la dichiarava decaduta dal beneficio della riserva previsto in favore degli invalidi civili, fatto valere dalla stessa al momento dell’iscrizione nella graduatoria degli aspiranti insegnanti supplenti presso la scuola materna.
L’azione giudiziale della lavoratrice era motivata dal convincimento che il provvedimento in oggetto fosse basato su di un accertamento medico che l’aveva illegittimamente ritenuta non invalida.
Il ricorso della lavoratrice trova accoglimento presso la competente Corte d’Appello, che condanna il Ministero coinvolto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale arrecato, oltre che alla regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale per tutto il periodo in cui la lavoratrice era rimasta disoccupata, da effettuare mediante il versamento dei contributi previdenziali dovuti per tale periodo.
La contesa giunge presso la Corte di Cassazione, la quale afferma preliminarmente che, qualora dall’atto illegittimo adottato dalla P.A. sia derivata, quale conseguenza diretta, la lesione del diritto soggettivo alla tempestiva assunzione, la lavoratrice non potrebbe avanzare pretese retributive: tali richieste presupporrebbero infatti “l’avvenuta instaurazione del rapporto sinallagmatico”, circostanza che, nei fatti, non si è verificata. Al contrario, a dire dei giudici della Suprema Corte la lavoratrice ha invece titolo di “agire per il risarcimento del danno ex art. 1218 c.c.”.
Nel dettaglio, qualora la lavoratrice si trovasse nella condizione di dimostrare di essere rimasta “priva di occupazione o di aver lavorato a condizioni deteriori” a seguito dell’atto illegittimo da cui è stata interessata, questa potrebbe richiedere il ristoro per il lucro cessante, ossia per il mancato guadagno derivante dalla perdita delle retribuzioni.
Ciononostante, l’interessata – a dire dei giudici di legittimità – non può richiedere che venga costituita la propria posizione previdenziale a titolo di risarcimento, poiché “il rapporto previdenziale, che è indisponibile, sorge solo in presenza dei necessari requisiti richiesti dalla legge e l’istituto assicuratore non può accettare contributi che non siano effettivamente dovuti”.
La Suprema Corte espone come il rapporto di lavoro subordinato costituisca imprescindibile presupposto di quello previdenziale, autonomo ma necessariamente correlato a questo, e “l’obbligo datoriale di pagare integralmente i contributi dovuti si configura, nell’ambito del rapporto di lavoro, come obbligo di facere, non già come un diritto di credito ai contributi da parte del lavoratore”.
Di conseguenza, presupposto necessario per la condanna del datore di lavoro al versamento della contribuzione sarebbe la sussistenza di un rapporto di lavoro.
Accolto dunque soltanto parzialmente il ricorso presentato dal Ministero coinvolto, la Suprema Corte ha dichiarato non dovuta la regolarizzazione della posizione previdenziale della lavoratrice illegittimamente cancellata dagli elenchi del collocamento obbligatorio.