Con la risposta ad interpello n. 458/2021, l’Agenzia delle Entrate si è espressa in merito al trattamento fiscale da riservare alle retribuzioni erogate a lavoratori dipendenti distaccati in Cina che, a causa dell’emergenza sanitaria da Covid-19, hanno continuato a svolgere la propria attività lavorativa in modalità agile in Italia.
I fatti oggetto dell’istanza di interpello
La Società istante, in qualità di sostituto di imposta, ha chiesto chiarimenti all’Agenzia delle Entrate circa il corretto trattamento fiscale da applicare ai propri dipendenti originariamente distaccati in Cina e fatti rientrare in Italia, dal gennaio 2020, a causa dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. L’istante, nel formulare il proprio interpello, ha precisato che gli stessi hanno continuato a svolgere la propria attività lavorativa in modalità agile (c.d. smartworking) ad esclusivo beneficio della distaccataria cinese.
In particolare, l’istante ha chiesto se:
L’istante ha proposto, alla luce delle disposizioni emesse dall’OCSE sul tema con nota del 3 aprile 2020 e successivamente aggiornate il 21 gennaio 2021, di non considerare di fonte italiana il reddito ivi prodotto dai lavoratori, ritenendo di non considerare l’impatto del rientro sulla determinazione della residenza fiscale dei lavoratori. L’OCSE, infatti, ha riconosciuto ad ogni giurisdizione la possibilità di adottare proprie indicazioni per evitare fenomeni di doppia imposizione fiscale durante l’emergenza sanitaria.
L’orientamento dell’Agenzia delle Entrate
Per quanto riguarda il primo punto, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che gli orientamenti contenuti nell’analisi svolta dal Segretario dell’OCSE sono stati accolti dall’Italia unicamente sulla base e nei limiti degli accordi amministrativi interpretativi delle disposizioni contenute nelle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni fiscali con Austria, Francia e Svizzera. Pertanto, solo in base a detti accordi, il reddito prodotto in un luogo può essere considerato prodotto nel territorio ove la prestazione sarebbe stata svolta in assenza dell’emergenza sanitaria da Covid-19.
L’autorità fiscale ha, quindi, osservato che nel caso di specie è necessario fare riferimento all’Accordo tra il governo della Repubblica italiana e il governo della Repubblica popolare cinese firmato il 31 ottobre del 1986 e ratificato con la L. 376/1989.
In base al combinato disposto dell’art 15 della predetta convenzione Italia – Cina e dell’art. 23 del TUIR, secondo l’Agenzia delle Entrate, i soggetti che abbiano trascorso meno di 183 (184 in anno bisestile) giorni in Italia sono soggetti a tassazione in relazione ai redditi prodotti lavorando sul territorio italiano pur non essendo residenti.
La conseguente doppia imposizione viene risolta, in conformità alle disposizioni presenti nella Convenzione, attraverso il riconoscimento di un credito d’imposta da parte della Cina, Stato di residenza fiscale effettiva dei lavoratori dipendenti.
In merito al secondo quesito l’Agenzia delle Entrate ha ricordato che “ai fini della individuazione della residenza fiscale di un individuo, secondo il diritto interno e in assenza di una disposizione normativa specifica che tenga conto dell’emergenza COVID, occorre far riferimento ai criteri indicati nell’articolo 2 del Tuir, la cui applicazione prescinde dalla circostanza che una eventuale permanenza della persona fisica nel nostro Paese sia dettata da motivi legati alla pandemia. Infatti, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del Tuir si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile”.
L’Agenzia, sul punto, ha confermato la necessità di tenere in considerazione non solo i giorni di presenza fisica in Italia ma anche le condizioni previste dal trattato sottoscritto con la Cina. Quest’ultimo enumera infatti, al paragrafo 2, le cosiddette “tie breaker rules” per dirimere eventuali conflitti di residenza tra gli Stati contraenti. Dette regole fanno prevalere il criterio dell’”abitazione permanente” cui seguono, in ordine gerarchico, il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità.
In considerazione di tutto quanto sopra esposto, l’Agenzia delle Entrate ha convenuto che ai fini della individuazione della residenza fiscale di un lavoratore che svolge la propria attività lavorativa in smart working a seguito del rientro in Italia dal luogo ove era distaccato, salvo apposite disposizioni previste negli accordi bilaterali ad hoc, occorre far riferimento ai criteri indicati nell’articolo 2 del TUIR senza tener conto dell’impatto della pandemia da Covid-19.