La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32234 del 23 aprile 2021, ha affermato che il regime sanzionatorio previsto dalla legge n. 300/1970 e riferito al controllo a distanza dei lavoratori causato dai sistemi di videosorveglianza è stato mantenuto in vigore a seguito dell’emanazione del Jobs Act.
In particolare, i fatti di causa hanno visto un datore di lavoro predisporre, all’interno del proprio esercizio commerciale, un sistema di videosorveglianza. Come si evince dalla sentenza della Suprema Corte, di fatto, l’avvenuta installazione di tale sistema implicava un controllo, da parte aziendale, della “attività svolta all’interno dell’esercizio commerciale dagli addetti alla vendita”.
A seguito di un accesso ispettivo avvenuto nell’esercizio commerciale, è stato redatto un verbale che rilevava come all’interno del locale commerciale vi fosse presenza di un sistema di videosorveglianza che non rispettava le prescrizioni previste dalla normativa.
Sul punto, giova ricordare come l’art. 4 della legge n. 300/1970 preveda la necessità di un accordo sindacale o di una specifica autorizzazione da parte dell’Ispettorato del Lavoro al fine di implementare, nei luoghi di lavoro, impianti di videosorveglianza “dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”.
Tali strumenti, inoltre, “possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale”.
In un primo momento, il giudice di primo grado aveva assolto il datore di lavoro circa la violazione di tale previsione, essendo stato ritenuto che “per effetto della entrata in vigore del D.Lgs. n. 196/2003 la condotta contestata non fosse più prevista dalla legge come reato”.
Avverso tale sentenza, il Procuratore generale della Corte di appello di Campobasso ha interposto ricorso per cassazione, osservando che – diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale – la disposizione che si assumeva essere stata violata dal datore di lavoro non avesse subito, in verità, alcuna abrogazione.
Il ricorso ha trovato accoglimento da parte della Corte di Cassazione, che lo ha ritenuto fondato, osservando che “anche a seguito dell’avvenuta abrogazione degli art. 4 e 38 della legge n. 300 del 1970, costituisce reato l’uso di impianti audiovisivi e altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, in quanto sussiste continuità normativa tra l’abrogata fattispecie e quella attualmente prevista dall’art. 171 in relazione all’art. 114 del D.Lgs. n. 196 del 2003, come rimodulata dall’art. 23 del D.Lgs. n. 151 del 2015, avendo la normativa sopravvenuta mantenuto integra la disciplina sanzionatoria per la violazione del citato art. 4”.
I giudici di legittimità hanno dunque sottolineato come il regime sanzionatorio per la violazione in oggetto non sia stato abrogato, bensì mantenuto in vita da parte del Jobs Act. In particolare, tale regime prevede che le violazioni di quanto previsto dal citato articolo 4 siano punite con “ammenda da L. 300.000 a L. 3.000.000 o con l’arresto da 15 giorni ad un anno”, con applicazione congiunta “nei casi più gravi”, ai danni del datore di lavoro.
È stata così annullata la sentenza di primo grado, la quale aveva assolto il datore di lavoro, disponendo il necessario riesame da parte del tribunale competente.