INPS: primi chiarimenti sullo sgravio contributivo per l’assunzione di donne

Con la circolare n. 32 del 22 febbraio 2021, l’INPS ha fornito i primi chiarimenti in merito alla fruizione dell’esonero contributivo, introdotto dalla Legge di Bilancio 2021, per l’assunzione di donne lavoratrici effettuate nel biennio 2021-2022.

Il quadro normativo

L’articolo 1, comma 16, della legge n. 178 del 30 dicembre 2020 (la “Legge di Bilancio 2021”) ha previsto che per le assunzioni di donne lavoratrici effettuate nel biennio 2021-2022 l’esonero contributivo di cui all’articolo 4, commi da 9 a 11, della legge n. 92 del 28 giugno 2012 (c.d. Riforma Fornero), sia riconosciuto nella misura del 100 per cento nel limite massimo di importo pari a 6.000 euro annui.

Al comma 17 del medesimo articolo è stato, altresì, precisato che il riconoscimento dell’esonero è subordinato al requisito dell’incremento occupazionale netto del datore di lavoro che assume, calcolato sulla base della differenza tra il numero dei lavoratori occupati rilevato in ciascun mese e il numero dei lavoratori mediamente occupati nei 12 mesi precedenti.

Al riguardo, si segnala che, ai fini della determinazione dell’incremento occupazionale il numero dei dipendenti è calcolato in Unità di Lavoro Annuo (U.L.A.), secondo il criterio convenzionale proprio del diritto comunitario.

La circolare in esame non fornisce però alcuna indicazione operativa, in quanto l’applicazione del beneficio è subordinata all’autorizzazione della Commissione Europea a seguito della quale, come precisato dallo stesso Istituto, sarà emanato un nuovo messaggio avente ad oggetto le modalità di compilazione delle dichiarazioni contributive da parte dei datori di lavoro che intendono accedere al beneficio.

Datori di lavoro interessati dal beneficio

I soggetti che possono accedere allo sgravio contributivo sono tutti i datori di lavoro privati, anche non imprenditori, ivi compresi i datori di lavoro del settore agricolo.

L’esonero contributivo in oggetto non si applica, quindi, nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni, individuabili assumendo a riferimento la nozione e l’elencazione recate all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

Lavoratrici per le quali spetta lo sgravio

In ragione dell’espresso richiamo operato dalla Legge di Bilancio 2021, l’incentivo è da intendersi come una naturale estensione di quanto già disciplinato dalla Riforma Fornero.

Rientrano nella nozione di “donne svantaggiate”, per le quali spetta lo sgravio in argomento in ipotesi di assunzione, le seguenti categorie:

  • donne con almeno cinquant’anni di età e “disoccupate da oltre dodici mesi”;
  • donne di qualsiasi età, residenti in regioni ammissibili ai finanziamenti nell’ambito dei fondi strutturali dell’Unione europea e prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi;
  • donne di qualsiasi età che svolgono professioni o attività lavorative in settori economici caratterizzati da un’accentuata disparità occupazionale di genere e “prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi”;
  • donne di qualsiasi età, ovunque residenti e “prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno ventiquattro mesi. Ai fini del rispetto del requisito, occorre considerare il periodo di 24 mesi antecedente la data di assunzione e verificare che in quel periodo la lavoratrice non abbia svolto un’attività di lavoro subordinato legata a un contratto di durata di almeno 6 mesi ovvero un’attività di collaborazione coordinata e continuativa la cui remunerazione annua sia superiore a 8.145 euro o, ancora, un’attività di lavoro autonomo tale da produrre un reddito annuo lordo superiore a 4.800 euro.

Pertanto, ai fini del riconoscimento del beneficio è richiesto o uno stato di disoccupazione di lunga durata (oltre 12 mesi) o il rispetto, in combinato con ulteriori condizioni, del requisito di inoccupazione (la lavoratrice deve essere, infatti, “priva di impiego”).

L’inoltro tardivo delle comunicazioni telematiche obbligatorie, inerenti all’instaurazione e alla modifica di un rapporto di lavoro o di somministrazione, comporta la perdita di quella parte dell’incentivo relativa al periodo compreso tra la data di decorrenza del rapporto agevolato e la data della tardiva comunicazione.

Tipologie di rapporti di lavoro incentivati e durata dello sgravio

L’incentivo in esame spetta per:

  • le assunzioni a tempo determinato;
  • le assunzioni a tempo indeterminato;
  • le trasformazioni a tempo indeterminato di un precedente rapporto agevolato.

Con riferimento alla sua durata, l’INPS precisa che l’incentivo spetterà:

  • fino a 12 mesi nelle casistiche di assunzione a tempo determinato;
  • per 18 mesi nelle casistiche di assunzione a tempo indeterminato;
  • per complessivi 18 mesi a decorrere dalla data di assunzione in caso di trasformazione a tempo indeterminato di un rapporto a termine.

È opportuno evidenziare come la fruizione dell’incentivo possa essere sospesa esclusivamente nei casi di assenza obbligatoria dal lavoro per maternità, consentendo, in tale ipotesi, il differimento temporale del periodo di godimento.

Requisiti per la fruizione dell’incentivo

Il diritto alla fruizione dell’incentivo è subordinato, oltre al verificarsi dell’incremento occupazionale netto e al rispetto dei principi generali in materia di incentivi stabiliti dall’articolo 31 del D.Lgs. n. 150/2015, alle seguenti condizioni previste dall’articolo 1, comma 1175, della legge n. 296/2006, ovverosia:

  • alla regolarità degli obblighi di contribuzione previdenziale (DURC);
  • all’assenza di violazioni delle norme fondamentali a tutela delle condizioni di lavoro e rispetto degli altri obblighi di legge;
  • al rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali, nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, sottoscritti dalle Organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Si segnala che, ai sensi dell’articolo 2, punto 32, del Regolamento (UE) n. 651/2014, l’incremento occupazionale netto deve intendersi come “l’aumento netto del numero di dipendenti dello stabilimento rispetto alla media relativa ad un periodo di riferimento; i posti di lavoro soppressi in tale periodo devono essere dedotti e il numero di lavoratori occupati a tempo pieno, a tempo parziale o stagionalmente va calcolato considerando le frazioni di unità di lavoro-anno”.

In particolare, come già chiarito nell’interpello n. 34/2014 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il datore di lavoro deve verificare l’effettiva forza lavoro presente nei 12 mesi successivi l’assunzione agevolata e non una occupazione “stimata”.

In ragione di quanto precede, qualora al termine dell’anno successivo all’assunzione il datore di lavoro dovesse riscontrare un incremento occupazionale netto in termini di U.L.A., le quote mensili di incentivo eventualmente già godute si “consolidano”. In caso contrario, l’incentivo non può essere legittimamente riconosciuto e il datore di lavoro è tenuto alla restituzione delle singole quote di incentivo eventualmente già godute in mancanza del rispetto del requisito richiesto mediante le procedure di regolarizzazione.

Si precisa che l’incentivo in argomento, in forza del disposto dell’articolo 32, paragrafo 3, del Regolamento (UE) n. 651/2014, è comunque applicabile qualora l’incremento occupazionale netto non si realizzi in quanto il posto o i posti di lavoro precedentemente occupato/occupati si sia/siano reso/resi vacante/vacanti a seguito di:

  • dimissioni volontarie;
  • invalidità;
  • pensionamento per raggiunti limiti d’età;
  • riduzione volontaria dell’orario di lavoro;
  • licenziamento per giusta causa.

Cumulabilità con altri incentivi

L’esonero in esame è cumulabile con altri esoneri nei limiti della contribuzione previdenziale dovuta e a condizione che, per gli altri esoneri di cui si intenda fruire, non sia espressamente previsto un divieto di cumulo con altri regimi.

Nell’ipotesi in cui l’esonero risulti cumulabile con un’altra agevolazione, per l’effettiva applicazione della seconda misura agevolata occorre far riferimento alla contribuzione “dovuta” ovverosia alla contribuzione residua “dovuta in ragione del primo esonero applicato.

Quanto alla sequenza secondo cui debba operarsi la cumulabilità tra gli esoneri, la stessa deve avvenire in ragione delle norme approvate, in ordine temporale, sul presupposto che l’ultimo esonero introdotto nell’ordinamento si cumula con i precedenti sulla contribuzione residua “dovuta”.

Aprile 2021: NOVITA’ E RINNOVI CCNL

  1. CCNL Agenzie di lavoro interinale: assemblee sindacali da remoto

Ai sensi dell’accordo stipulato in data 10 febbraio 2021, sono state prorogate fino al 30 aprile 2021 – e comunque fino al perdurare dello stato di emergenza, salvo diversa indicazione delle Parti – le disposizioni del Protocollo d’Intesa sottoscritto il 24 novembre 2020 in materia di assemblee sindacali, il quale permette lo svolgimento delle stesse anche al di fuori dei locali aziendali o da remoto, mediante piattaforma informatica.

 

  1. CCNL Lampade e cinescopi (Industria)/CCNL Vetro e lampade: contributi contrattuali

Entro il 30 aprile 2021 i datori di lavoro sono tenuti a versare le somme riscosse a titolo di contributo straordinario una tantum a riconoscimento dell’attività delle organizzazioni sindacali stipulanti in occasione del rinnovo del CCNL.

In particolare, le aziende sono tenute ad operare una trattenuta in busta paga dalle competenze del mese di marzo 2021 di ciascun dipendente non iscritto alle organizzazioni sindacali e che non abbia fatto pervenire apposito diniego alla trattenuta, quantificata nell’importo di euro 30,00. Le somme complessivamente riscosse saranno versate in unica soluzione da ciascun datore di lavoro sul conto corrente bancario indicato dalle organizzazioni sindacali stipulanti.

 

  1. CCNL Attività ferroviarie: una tantum

Ai lavoratori in forza al 18 febbraio 2021 è riconosciuto un importo una tantum da erogarsi in due tranche di pari misura, la prima delle quali in occasione della retribuzione di aprile 2021. L’erogazione della seconda tranche è in programma per giugno 2021.

L’ammontare dell’importo una tantum è quantificato come da tabella seguente.

Liv./Par.

Importo lordo “Una Tantum” (Euro)

Q1

1.193,57

Q2

1.048,68

A

1.014,19

B1

965,89

B2

924,50

B3

910,70

C1

890,00

C2

876,20

D1

862,40

D2

834,81

D3

821,01

E1

807,21

E2

772,71

E3

758,91

F1

703,72

F2

689,92

 

 

  1. CCNL Telecomunicazioni: una tantum

Le imprese il cui esercizio sociale si chiude nel mese di marzo sono tenute ad erogare, con le competenze del mese di aprile 2021, un importo lordo pari a Euro 450,00 ai lavoratori a tempo indeterminato aventi anzianità di servizio superiore a dodici mesi ed in forza nel mese di erogazione.

Per le imprese che svolgono attività di CRM/BPO l’importo viene erogato con le seguenti modalità:

  • Euro 225,00 con le competenze del mese di aprile 2021;
  • Euro 225,00 trascorsi dodici mesi dalla prima erogazione.
  1. CCNL Case di cura private – Personale medico (ARIS): una tantum

Al dirigente medico assunto prima del 1° gennaio 2020 ed ancora in servizio alla data del 7 ottobre 2020, è riconosciuto un importo netto a titolo di una tantum pari ad Euro 2.500,00, avente la finalità di riparare il disagio derivante dalla ritardata sottoscrizione del rinnovo del CCNL. L’importo verrà corrisposto in cinque tranches di pari importo, con le retribuzioni dal mese di gennaio 2021 al mese di maggio 2021.

Pertanto, con la retribuzione del mese di aprile 2021 i datori di lavoro saranno tenuti a corrispondere la quarta tranche da Euro 500,00.

 

  1. Aumento dei minimi retributivi dal 1° aprile 2021

A decorrere dal 1° aprile 2021 è previsto un aumento dei minimi retributivi tabellari dei seguenti contratti collettivi nazionali di lavoro:

  • CCNL Alimentari (Artigianato)
  • CCNL Giornali quotidiani
  • CCNL Telecomunicazioni

 

Regime fiscale agevolato per lavoratori impatriati: contribuenti che rientrano a seguito di distacco all’estero (Andrea Di Nino, Sintesi – Ordine dei Consulenti del Lavoro, marzo 2021)

L’Agenzia delle Entrate, mediante la risposta a interpello n. 42 del 18 gennaio 2021, ha fornito il proprio orientamento in merito all’applicabilità del regime speciale destinato ai lavoratori impatriati ai sensi dell’art. 16 del D. Lgs. 147/2015, c.d. “Decreto internazionalizzazione”, nel particolare caso del rientro dal distacco all’estero.

In particolare, il decreto ha previsto – mediante l’introduzione di un regime fiscale ad hoc – un incentivo al rientro nel nostro Paese di lavoratori autonomi e dipendenti, che potranno fruire di un consistente abbattimento del proprio imponibile fiscale a seguito del trasferimento della residenza in Italia ai sensi dell’art. 2 del TUIR, diversamente modulato a seconda della decorrenza del trasferimento e della relativa regolamentazione applicabile.

Allo scopo di fruire di tale regime, considerate le varie modifiche che si sono stratificate negli anni, ai sensi del comma 1 dell’art. 16 del decreto è necessario che il lavoratore (i) trasferisca la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 2 del TUIR, (ii) non sia stato residente in Italia nei due periodi d’imposta antecedenti al trasferimento, impegnandosi a risiedere in Italia per almeno 2 anni e (iii) svolga l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.

In base al successivo comma 2, sono destinatari del beneficio fiscale in esame, inoltre, i cittadini dell’Unione Europea o di uno Stato extra-UE con il quale risulti in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale che (i) siano in possesso di un titolo di laurea e abbiano svolto “continuativamente” un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, ovvero (ii) abbiano svolto “continuativamente” un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream.

Per quanto concerne il contenuto dell’istanza di interpello, i fatti coinvolgono un lavoratore di nazionalità italiana, laureato e assunto con contratto a tempo indeterminato da una società italiana a decorrere dal 2013. Dal 15 febbraio 2016, il lavoratore è stato distaccato presso una società del gruppo internazionale, con sede nella Repubblica Popolare Cinese (“RPC”), in virtù di contratto di lavoro locale, regolamentato dalla legislazione del Paese estero.

Nella propria istanza di interpello, il lavoratore dichiara di essere stato nuovamente assunto – dal 1° gennaio 2021 – da parte della medesima società italiana, con contratto a tempo indeterminato, e di essersi iscritto all’AIRE nel giugno 2016, considerato l’accentramento dei propri interessi economici e personali nella RPC.

Tanto premesso, l’istante chiede se possa fruire del regime speciale dei lavoratori impatriati, ai sensi dell’articolo 16, comma 2, del D. Lgs. n. 147/2015, a decorrere dal periodo d’imposta 2021.

L’Agenzia delle Entrate, a seguito dell’esame dell’istanza pervenuta, ha dapprima fornito un quadro generale della norma, definendone campo di applicazione e condizionalità. Nel dettaglio, l’autorità fiscale ha illustrato che l’agevolazione in esame è fruibile dai contribuenti per un quinquennio a decorrere dal periodo di imposta in cui trasferiscono la residenza fiscale in Italia e per i quattro periodi di imposta successivi (ai sensi dell’art. 16, comma 3 del D. Lgs. n. 147/2015). Per accedere al regime speciale, il citato art. 16 presuppone, inoltre, che il soggetto non sia stato residente in Italia per due periodi di imposta precedenti il rientro.

Con riferimento, in particolare, ai contribuenti che rientrano a seguito di distacco all’estero, l’Agenzia delle Entrate cita la recente circolare 33/E del 28 dicembre 2020 (par. 7.1), la quale precisa, tra l’altro, che “non spetta il beneficio fiscale in esame nell’ipotesi di distacco all’estero con successivo rientro, in presenza del medesimo contratto e presso il medesimo datore di lavoro. Diversamente, nell’ipotesi in cui l’attività lavorativa svolta dall’impatriato costituisca una “nuova” attività lavorativa, in virtù della sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro, diverso dal contratto in essere in Italia prima del distacco, e quindi l’impatriato assuma un ruolo aziendale differente rispetto a quello originario, lo stesso potrà accedere al beneficio a decorrere dal periodo di imposta in cui ha trasferito la residenza fiscale in Italia. Al riguardo, si precisa che l’agevolazione non è applicabile nelle ipotesi in cui il soggetto, pur in presenza di un “nuovo” contratto per l’assunzione di un “nuovo” ruolo aziendale al momento dell’impatrio, rientri in una situazione di “continuità” con la precedente posizione lavorativa svolta nel territorio dello Stato prima dell’espatrio.

Ciò accade, ad esempio, quando i termini e le condizioni contrattuali, indipendentemente dal “nuovo” ruolo aziendale e dalla relativa retribuzione, rimangono di fatto immutati al rientro presso il datore di lavoro in virtù di intese divaria natura, quali la sottoscrizione di clausole inserite nelle lettere di distacco ovvero negli accordi con cui viene conferito un nuovo incarico aziendale, dalle quali si evince che, sotto il profilo sostanziale, continuano ad applicarsi le originarie condizioni contrattuali in essere prima dell’espatrio”.

A titolo meramente esemplificativo, tale circolare enumera altresì alcuni indici di “continuità sostanziale”:

  • il riconoscimento di ferie maturate prima del nuovo accordo contrattuale;
  • il riconoscimento dell’anzianità dalla data di prima assunzione;
  • l’assenza del periodo di prova;
  • clausole volte a non liquidare i ratei di tredicesima (ed eventuale quattordicesima) maturati nonché il trattamento di fine rapporto al momento della sottoscrizione del nuovo accordo;
  • clausole in cui si prevede che alla fine del distacco, il distaccato sarà reinserito nell’ambito dell’organizzazione della Società distaccante e torneranno ad applicarsi i termini e le condizioni di lavoro presso la Società di appartenenza in vigore prima del distacco.

Diversamente, “laddove le condizioni oggettive del nuovo contratto (prestazione di lavoro, termine, retribuzione) richiedano un nuovo rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente, con nuove ed autonome situazioni giuridiche cui segua un mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione e del titolo del rapporto, l’impatriato potrà accedere al beneficio fiscale in esame“.

Pertanto, con specifico riferimento al caso di specie, l’autorità fiscale ha ritenuto che il lavoratore istante potrebbe fruire del regime agevolato qui in trattazione “solo nell’ipotesi in cui la “nuova” attività lavorativa non si ponga in continuità con la precedente posizione lavorativa, nell’accezione delineata nella richiamata circolare, circostanza non verificabile in sede di interpello e non oggetto di controllo in questa sede, e sempreché risultino soddisfatti tutti gli altri requisiti previsti dalla norma in esame”.

Smart working e buoni pasto, sì al regime di esenzione: i chiarimenti dell’Agenzia delle entrate (Agendadigitale.eu, 15 marzo 2021 – Nunzio Lena, Andrea Di Nino)

L’Agenzia delle Entrate, mediante la risposta ad interpello n. 123 del 22 febbraio 2021, ha fornito chiarimenti in merito al trattamento fiscale e previdenziale del valore dei buoni pasto percepiti dai lavoratori in smart working.

In particolare, l’autorità fiscale si è espressa favorevolmente circa la possibilità di applicare il regime di esenzione previsto per i buoni pasto anche nei confronti dei dipendenti che si trovino a lavorare da remoto.

Il quesito oggetto dell’interpello

Un ente bilaterale ha presentato un’istanza di interpello nei confronti dell’Agenzia delle Entrate al fine di chiarire se, ai fini dell’applicazione delle imposte dirette, il servizio sostitutivo di mensa mediante buoni pasto erogato in favore dei propri lavoratori, che si trovano a lavorare in modalità agile, non concorra alla formazione del reddito di lavoro dipendente, ai sensi dell’articolo 51, comma 2, lettera c), del TUIR.

L’ente ha, infatti, fatto un ricorso generalizzato allo smart working in conseguenza della corrente situazione pandemica e alle nuove esigenze legate al contenimento dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 che hanno spinto il legislatore ad incentivare tale modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, nell’intento di arginare la diffusione del virus e limitare i contagi all’interno delle realtà lavorative ed aziendali.

Conseguentemente, l’ente ha chiesto all’Agenzia delle Entrate se, in qualità di sostituto di imposta, non sia tenuto “ad operare la ritenuta a titolo d’acconto IRPEF sul valore del servizio sostitutivo di mensa mediante buoni pasto che viene assicurato ai propri lavoratori dipendenti che svolgono la prestazione di lavoro in modalità smart working”, ai sensi dell’articolo 23 del D.P.R. n. 600/1973.

La soluzione interpretativa proposta dall’istante

L’istante, nella soluzione interpretativa prospettata nell’interpello, fa anzitutto presente che, ai fini contributivi, l’articolo 6, comma 3, del Decreto-legge n. 333/1992 “esclude che i buoni pasto rappresentino una parte della retribuzione del lavoratore, salvo che gli accordi ed i contratti collettivi, anche aziendali, dispongano diversamente”.

In particolare, in mancanza di una specifica previsione contrattuale che inquadri i buoni pasto tra gli elementi della retribuzione, l’istante ritiene che, “indipendentemente dalle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa (in presenza o in smart working), ai fini delle imposte dirette, i buoni pasto rientrino tra i servizi sostitutivi di mensa, parzialmente esenti dalla formazione del reddito di lavoro dipendente ai sensi dell’articolo 51, comma 2, lettera c), del TUIR”.

In definitiva, l’istante prospetta come, per i periodi in cui è stato stabilito per i propri dipendenti il lavoro in smart working, “sui buoni pasto assegnati non debba operare la ritenuta a titolo d’acconto Irpef”.

Il parere dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate, nella propria risposta, premette che, in deroga al principio di onnicomprensività che disciplina il reddito di lavoro dipendente, l’articolo 51, comma 2, lettera c), del TUIR prevede che non concorrono alla formazione del reddito del lavoratore dipendente “le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro nonché quelle in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite da terzi; le prestazioni sostitutive delle somministrazioni di vitto fino all’importo complessivo giornaliero di euro 4, aumentato a euro 8 nel caso in cui le stesse siano rese in forma elettronica; le indennità sostitutive delle somministrazioni di vitto corrisposte agli addetti ai cantieri edili, ad altre strutture lavorative a carattere temporaneo o ad unità produttive ubicate in zone dove manchino strutture o servizi di ristorazione fino all’importo complessivo giornaliero di euro 5,29”.

La ratio sottesa a tale regime fiscale di favore è ispirata dalla volontà del legislatore di detassare le erogazioni ai dipendenti che si ricollegano alla necessità del datore di lavoro di “provvedere alle esigenze alimentari del personale che durante l’orario di lavoro deve consumare il pasto”.

L’autorità fiscale prosegue nella disamina della norma e della relativa prassi, evidenziando come l’articolo 4 del decreto del Ministero dello Sviluppo Economico n. 122/2017 preveda, in merito ai buoni pasto, quanto segue:

  1. consentono al titolare di ricevere un servizio sostitutivo di mensa di importo pari al valore facciale del buono pasto;
  2. consentono all’esercizio convenzionato di provare documentalmente l’avvenuta prestazione nei confronti delle società di emissione;
  3. sono utilizzati esclusivamente dai prestatori di lavoro subordinato, a tempo pieno o parziale, anche qualora l’orario di lavoro non preveda una pausa per il pasto, nonché dai soggetti che hanno instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione anche non subordinato; non sono cedibili, né cumulabili oltre il limite di otto buoni, né commercializzabili o convertibili in denaro e sono utilizzabili solo dal titolare;
  4. sono utilizzabili esclusivamente per l’intero valore facciale.

La previsione contenuta nel citato decreto ministeriale, di fatto, “tiene conto della circostanza che la realtà lavorativa è sempre più caratterizzata da forme di lavoro flessibili” e, in merito, viene rilevato come al contempo, la normativa fiscale non preveda “una definizione delle prestazioni sostitutive di mensa, limitandosi a prevederne la non concorrenza al reddito nei limiti descritti”.

Considerata, per di più, l’assenza di disposizioni che limitano l’erogazione, da parte del datore di lavoro, dei buoni pasto in favore dei propri dipendenti, l’Agenzia delle Entrate conferma come per tali prestazioni sostitutive del servizio di mensa trovi applicazione il regime di parziale imponibilità prevista dalla lettera c) del comma 2 dell’articolo 51 del TUIR, indipendentemente dall’articolazione dell’orario di lavoro e dalle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.

Conclusioni

Con riferimento al caso in esame, l’Agenzia delle Entrate ha pertanto ritenuto che i buoni pasto erogati ai dipendenti – a prescindere dalle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa – non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente, nei limiti e ai sensi dell’articolo 51, comma 2, lettera c), del TUIR. In conformità a tutto quanto precede, i datori di lavoro non saranno tenuti “ad operare anche nei confronti dei lavoratori in smart working, la ritenuta a titolo di acconto Irpef, prevista dall’articolo 23 del D.P.R. n. 60/1973, sul valore dei buoni pasto fino a euro 4, se cartacei, ovvero euro 8, se elettronici”.

Fonte: Agendadigitale.eu

Concorsi aziendali interni vincolanti per il datore di lavoro (Andrea Di Nino, Sintesi – Ordine dei Consulenti del Lavoro, febbraio 2021)

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 28141 del 14 dicembre 2020, ha affermato che il concorso indetto dal datore di lavoro per ricoprire ruoli professionali che costituiscono un avanzamento di carriera realizza una “offerta contrattuale” ai destinatari del bando potenzialmente interessati.

Nell’ambito dei rapporti di lavoro privato, il datore è dunque tenuto a gestire la procedura selettiva e a individuare, di conseguenza, i dipendenti meritevoli della promozione attenendosi alle regole previste nel bando di concorso, in conformità ai principi di correttezza e buona fede che sottendono ad ogni obbligazione contrattuale, incluse quelle riferite – come nel caso in trattazione – ai rapporti di lavoro.

I fatti di causa vedono una società di gestioni sanitarie bandire una procedura di selezione interna per l’assegnazione del ruolo di caposala; l’iter selettivo, in particolare, si sviluppava in due distinte fasi: una, riguardante l’esame delle candidature e dei relativi curricula; l’altra, consistente in un colloquio attitudinale con i candidati svolto da una società terza specializzata.

A riguardo, una lavoratrice che aveva preso parte al bando agiva in giudizio al fine di conseguire pronuncia di illegittimità della procedura di selezione interna di conferimento di tale incarico, chiedendo la condanna della società datrice di lavoro al risarcimento del danno patrimoniale nella misura delle differenze retributive spettanti – da rimodularsi sul conseguente livello di inquadramento – nonché del pregiudizio alla professionalità.

La Corte d’Appello di Caltanissetta, riformando la decisione di primo grado, respingeva la domanda proposta dalla lavoratrice esclusa all’esito della prova attitudinale. evidenziando come la stessa risultasse attitudinalmente inidonea – nonché priva dei requisiti richiesti – rispetto al processo di selezione aziendale. Veniva dunque rilevato come, conformemente alla corretta applicazione del percorso selettivo oggetto del bando, il datore di lavoro avesse conferito l’incarico di caposala ad altro candidato in piena legittimità.

La Cassazione giungeva a confermare la pronuncia della corte territoriale, evidenziando come il bando di concorso sia correttamente esercitato qualora il datore di lavoro, attendendosi al percorso selettivo previsto, lo abbia gestito con correttezza e secondo buona fede, attendendo al percorso selettivo predeterminato.

Il bando di concorso per l’assunzione in servizio, quello per la promozione a un incarico superiore o quello per il riconoscimento di trattamenti e benefici a favore del personale – osserva la Corte – equivalgono tecnicamente a un’offerta al pubblico, la quale determina il sorgere di un’obbligazione nei confronti dei lavoratori cui la partecipazione al processo selettivo è indirizzata.

Il bando, se contiene gli elementi essenziali del contratto di lavoro alla cui conclusione è diretto, costituisce dunque offerta al pubblico ex articolo 1336 del Codice civile. A tale proposito, la norma codicistica prevede che l’offerta al pubblico valga come proposta contrattuale, se non risulti diversamente dalle circostanze o dagli usi.

Tale offerta ha dunque l’effetto di vincolare il datore di lavoro, facendo sì che questi – una volta avviato il procedimento – non, sia titolato a modificare il contenuto della selezione così come delineata nel bando di concorso a pregiudizio dei soggetti cui l’offerta è stata rivolta.

Su tali basi, rimarcate in più occasioni dalla giurisprudenza di merito, la Suprema Corte ha affermato che detto principio sia applicabile anche al caso di specie, rigettando le pretese della lavoratrice.

Integrazione salariale: al via le domande per le 12 settimane

Con il messaggio n° 406 del 29 gennaio scorso, l’INPS ha fornito le istruzioni operative attinenti alle 12 settimane di integrazione salariale per l’anno 2021 stanziate dalla Legge di bilancio 2021.

Sarà dunque possibile, per i datori di lavoro interessati ai nuovi periodi, presentare le domande telematiche relative ai trattamenti di FIS e cassa integrazione ordinaria e in deroga, utilizzando l’apposita causale presente sul portale istituzionale INPS.

Il termine per la presentazione delle domande è fissato per la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell’attività lavorativa.

Per le sospensioni o riduzioni di attività iniziate nel mese di gennaio, le domande saranno dunque da presentare entro il prossimo 28 febbraio.

Ricordiamo che le 12 settimane di integrazione salariale sono fruibili entro il 31 marzo 2021 con riferimento alla cassa integrazione ordinaria e fino al 30 giugno prossimo per quanto riguarda FIS e cassa integrazione in deroga.

Socio-amministratore di S.r.l. e obbligo di versamento dei contributi alla Gestione Commercianti

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 1759 del 27 gennaio 2021, è intervenuta ancora una volta sul tema della doppia contribuzione a carico dei soggetti che sono, simultaneamente, soci e amministratori di società a responsabilità limitata con oggetto sociale classificabile nel settore terziario.

I fatti di causa

La Corte d’Appello di Bologna confermava la sentenza di primo grado di accoglimento dell’opposizione proposta dal presidente del consiglio di amministrazione e socio di una S.r.l. avverso una cartella di pagamento per i contributi dovuti alla Gestione Commercianti INPS per l’attività svolta in qualità di socio che, in quanto amministratore, risultava altresì iscritto alla Gestione Separata INPS.

La Corte d’Appello, ritenuta ammissibile la doppia iscrizione, affermava che ai fini dell’iscrizione alla Gestione Commercianti INPS l’attività doveva essere diversa e distinta da quella di amministratore e che, nel caso di specie, l’attività di supervisione e la posizione di referente per i clienti e i fornitori o l’assunzione di un dipendente, rientravano nelle normali incombenze dell’amministratore.

Avverso la sentenza di secondo grado l’INPS ricorreva in cassazione affidandosi ad unico articolato motivo di ricorso.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha, innanzitutto, osservato che il comma 208 dell’articolo 1, della legge 662/1996 non ha introdotto alcun principio di alternatività tra l’iscrizione alla Gestione Commercianti e l’iscrizione alla Gestione Separata di cui all’art. 2, comma 26, Legge n. 335/95.

La Corte ha infatti ribadito che, a seguito dell’interpretazione autentica della suddetta norma operata dall’articolo 12, comma 11, del Decreto Legge 78/2010, convertito nella Legge 122/2010, il legislatore ha escluso la regola dell’unicità dell’iscrizione. Unicità “che resta possibile (e presso la gestione dell’attività prevalente) solo per le attività autonome esercitate in forma d’impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti.

La Corte ha, altresì, evidenziato che “in caso di esercizio di attività in forma d’impresa ad opera di commercianti o artigiani ovvero di coltivatori diretti contemporaneamente all’esercizio di attività autonoma per la quale è obbligatoriamente prevista l’iscrizione alla gestione previdenziale separata di cui all’art. 2, comma 26, legge 335/1995, non opera l’unificazione della contribuzione sulla base del parametro dell’attività prevalente, quale prevista dall’art. 1, comma 208, legge n. 662 del 1996“.

Secondo la Corte di Cassazione, il suddetto principio della doppia contribuzione, richiamato dalla giurisprudenza, ha prodigato la prassi dell’INPS di procedere con l’iscrizione d’ufficio del socio-amministratore di società a responsabilità limitata: (i) presso la Gestione Commercianti INPS, per il reddito d’impresa prodotto in qualità di socio e (ii) presso la Gestione Separata INPS per il reddito derivante dal compenso percepito per la carica di amministratore.

Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione non ha messo in discussione il principio della doppia contribuzione bensì la prassi operata d’ufficio dall’istituto previdenziale. In particolare, la stessa ha statuito che “lo svolgimento […] della sola attività di amministratore, senza alcuna partecipazione diretta all’attività materiale ed esecutiva dell’azienda” non può essere sufficiente a giustificare l’iscrizione alla Gestione Commercianti, e che “né, di per sé, la qualifica di socio di una società di capitali (con responsabilità limitata al capitale sottoscritto e con partecipazione alla realizzazione dello scopo sociale esclusivamente tramite il conferimento di tale capitale) può essere significativa dell’esercizio di diretta attività commerciale nell’azienda”.

E nel caso di specie, lo svolgimento di attività di supervisione, la funzione di referente per i clienti e fornitori o l’assunzione di un dipendente rientrano tutte nelle competenze dell’amministratore e non anche in quelle di socio.

Sulla base di tali considerazioni, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’INPS confermando l’illegittimità dell’iscrizione d’ufficio del socio-amministratore alla Gestione Commercianti non avendo l’istituto previdenziale provato la “partecipazione diretta all’attività materiale ed esecutiva dell’azienda” per iscrivere il socio alla predetta gestione.

Nullo il licenziamento economico intimato in violazione del divieto per COVID-19

Il Tribunale di Mantova, con la sentenza n. 112/2020, ha dichiarato nullo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato ad una apprendista, poiché contrario al divieto disposto dalla normativa emergenziale attualmente in vigore a causa della pandemia da COVID-19.

I fatti

La ricorrente era stata assunta da una società operante nel settore del commercio al dettaglio di abbigliamento e bigiotteria con contratto di apprendistato professionalizzante, mansioni di “aiuto commessa” e inquadramento nel VI livello del CCNL Commercio.

Dal mese di marzo al mese di maggio 2020, l’apprendista era stata collocata in cassa integrazione per la diminuzione dell’attività lavorativa a causa del diffondersi della pandemia. In seguito alla fruizione degli ammortizzatori sociali e dopo essere stata posta formalmente in ferie per tutto il mese di giugno, con lettera del 9 giugno 2020 l’apprendista veniva licenziata con effetto dal 30 giugno successivo in ottemperanza al periodo di preavviso contrattualmente previsto.

A suffragio del recesso il datore di lavoro aveva addotto la chiusura della sede operativa dove la lavoratrice operava e la conseguente cessazione dell’attività dell’azienda.

L’apprendista ricorreva in giudizio avversi il licenziamento per motivi economici intimatole, eccependo che l’attività aziendale non era effettivamente cessata e che era stato violato l’obbligo di repechage. L’apprendesti invocava così la nullità del licenziamento per violazione dell’articolo 46 del D.L. 18/2020.

Il divieto di licenziamento come misura di garanzia per l’ordine pubblico

Nella sentenza in esame, in via preliminare il Tribunale di Mantova ha rilevato come il divieto generalizzato di licenziamento per giustificato motivo oggettivo sia stato introdotto dal Decreto Legge 18/2020 (c.d. Decreto Cura Italia) sino al 17 maggio 2020, per poi essere prorogato, inizialmente, fino al 17 agosto 2020 dal Decreto Legge 34/2020 (c.d. Decreto Rilancio) e, in seguito, a tutto il 2020 dal Decreto Legge 104/2020 (c.d. Decreto Agosto) con riferimento ai datori di lavoro che non avessero esaurito, a tale data, le settimane di integrazione salariale disponibili.

Secondo il Giudice, tale divieto si configura come “una tutela temporanea della stabilità dei rapporti per salvaguardare la stabilità del mercato e del sistema economico ed è una misura di politica del mercato del lavoro e di politica economica collegata ad esigenze di ordine pubblico”.

La nullità del licenziamento

Nella sentenza si evidenzia che “dal carattere imperativo e di ordine pubblico della disciplina del blocco dei licenziamenti consegue la nullità dei licenziamenti adottati in contrasto con la regola, con una sanzione ripristinatoria ex art. 18, comma 1, Legge 300/1970 e ex art. 2, Decreto legislativo 23/2015“, vale a dire con la reintegra del lavoratore licenziato nel proprio posto di lavoro.

Su tali presupposti, non avendo il datore di lavoro “provato di aver cessato l’attività come enunciato nella lettera di licenziamento”, il Tribunale di Mantova ha dichiarato nullo il licenziamento e accolto il ricorso dell’apprendista, con conseguente condanna del datore di lavoro a reintegrarla nonché al pagamento in suo favore della retribuzione e al versamento dei contributi dal dì del licenziamento a quello della effettiva reintegra.

Regime fiscale per i lavoratori che rientrano in Italia a seguito di distacco all’estero: la risposta dell’Agenzia delle Entrate

Con risposta all’interpello n. 42 del 18 gennaio 2021 l’Agenzia delle Entrate si è pronunciata nuovamente sull’ambito di applicazione del regime agevolato introdotto dall’art. 16 del D. Lgs. 147/2015 per i c.d. lavoratori impatriati. L’Agenzia si è soffermata, in particolar modo, sulla possibilità per i lavoratori che rientrano in Italia, a seguito di distacco all’estero, di beneficiare del suddetto regime.

Il quesito del contribuente

Nel formulare il suo interpello, un cittadino italiano dichiarava che:

  • sino al 14 febbraio 2016 aveva prestato attività lavorativa in Italia presso una società italiana;
  • dal 15 febbraio 2016 era stato distaccato presso una società del gruppo con sede in Cina, con un contratto di diritto estero;
  • a decorrere dal 1° gennaio 2021 era stato riassunto dalla medesima società italiana con contratto a tempo indeterminato.

Alla luce di quanto precede, il contribuente chiedeva all’Agenzia delle Entrate se fosse possibile fruire del regime speciale riservato ai lavoratori impatriati a decorrere dal periodo di imposta 2021.

Il parere dell’Agenzia delle Entrate

In primo luogo, l’Agenzia delle Entrate riepiloga i termini del beneficio fiscale, alla luce delle ultime modifiche normative, rimarcando la possibilità per il lavoratore di fruire dell’abbattimento dell’imponibile fiscale dei redditi prodotti sino al 70 per cento se:

  • trasferisce la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 2 del TUIR;
  • non è stato residente in Italia nei due periodi d’imposta antecedenti al trasferimento e si impegna a risiedere in Italia per almeno 2 anni;
  • svolge l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.

L’agevolazione è fruibile a decorrere dal periodo di imposta in cui il lavoratore trasferisce la propria residenza fiscale in Italia e per i quattro periodi di imposta successivi.

Tuttavia, riprendendo quanto già espresso con la precedente circolare n. 33/E/2020, l’Agenzia delle Entrate specifica che, ai contribuenti che rientrano in Italia a seguito di un distacco estero, il beneficio fiscale non spetta:

  • in presenza del medesimo contratto e presso il medesimo datore di lavoro” nonché 
  • “nell’ipotesi in cui il soggetto, pur in presenza di un nuovo contratto per l’assunzione di un nuovo ruolo aziendale, al momento del rimpatrio rientri in una situazione di “continuità” con la precedente posizione lavorativa svolta nel territorio dello Stato prima dell’espatrio”.

L’Agenzia, a titolo esemplificativo e non esaustivo, individua come indici di “continuità” che, pertanto, determinano l’inaccessibilità per il lavoratore al beneficio fiscale in esame:

  • il riconoscimento di ferie maturate prima del nuovo accordo contrattuale;
  • il riconoscimento dell’anzianità dalla data di prima assunzione;
  • l’assenza del periodo di prova;
  • la presenza di clausole volte a non liquidare i ratei delle mensilità aggiuntive maturate nonché il trattamento di fine rapporto al momento della sottoscrizione del nuovo accordo;
  • la presenza di clausole in cui si prevede che alla fine del distacco, il distaccato sarà reinserito nell’ambito dell’organizzazione della società distaccante e torneranno ad applicarsi i termini e le condizioni di lavoro presso la società di appartenenza in vigore prima del distacco.

Tali indici fanno dedurre una sostanziale continuità con il rapporto di lavoro instaurato prima del distacco in cui continuano ad applicarsi le originarie condizioni contrattuali in vigore prima dell’espatrio che, pertanto, escludono l’applicabilità del regime agevolato.

Diverso sarebbe, invece, il caso in cui l’attività lavorativa svolta dal lavoratore, successivamente al rientro in Italia, costituisca una vera e propria “nuova” attività attraverso la stipula di un nuovo contratto di lavoro che preveda un ruolo aziendale completamente diverso da quello originario. In tale ipotesi il lavoratore sarebbe legittimato a fruire dell’agevolazione fiscale in argomento.

Non potendo verificare la situazione lavorativa dell’istante, l’Agenzia enuclea il principio secondo il quale il contribuente potrebbe fruire del regime agevolato con decorrenza dal 2021 solo nel caso in cui l’attività lavorativa svolta in Italia dopo il distacco all’estero sia totalmente “nuova” e non si ponga in continuità con il precedente rapporto di lavoro in essere prima dell’espatrio.

Massimali per i trattamenti di integrazione salariale e ticket di licenziamento 2021

Con la circolare n. 7 dello scorso 21 gennaio, l’INPS ha comunicato gli importi massimi, in vigore dal 1° gennaio 2021, dei trattamenti di integrazione salariale, dell’assegno ordinario, dell’indennità di disoccupazione NASpI nonché l’importo del ticket di licenziamento.

Trattamenti di integrazione salariale CIGO, FIS, CIGD: normativa di riferimento.

Ai sensi dell’art. 3, comma 5 del Decreto Legislativo n.148/2015, la misura della prestazione, sia per l’assegno di solidarietà che per l’assegno ordinario, è fissata nell’80% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate, comprese tra le ore zero e il limite dell’orario contrattuale, entro un massimale di importo mensile erogabile.

Gli importi massimi di integrazione salariale e la retribuzione mensile di riferimento sono annualmente aggiornati sulla base della variazione annuale dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.

La circolare in esame riporta i nuovi importi in vigore dal 1° gennaio 2021.

I massimali mensili di integrazione salariale spettanti sono connessi alla retribuzione lorda mensile in godimento del lavoratore, in particolare:

  • per i lavoratori percipienti una retribuzione lorda inferiore o pari a 2.159,48 euro, l’importo massimo spettante sarà pari a 998,18 euro lordi;
  • per i lavoratori con retribuzioni superiori a 2.159,48 euro, invece, l’importo massimo lordo sarà pari a 1.199,72 euro.

Gli importi sono indicati al lordo della riduzione prevista ai sensi dell’articolo 26 della legge n. 41 del 28 febbraio 1986 che attualmente è pari al 5,84%.

Pertanto, gli importi al netto della suddetta trattenuta saranno rispettivamente di 939,89 euro (per le retribuzioni lorde pari o inferiori a 2.159,48 euro) e di 1.129,66 euro (per le retribuzioni lorde superiori a 2.159,48 euro).

Ticket di licenziamento: normativa di riferimento

L’articolo 2, commi 31 e ss., della Legge 92 del 28 giugno 2012, ha introdotto il c.d. ticket di licenziamento, ovverosia un contributo addizionale una tantum che il datore deve versare all’INPS in caso di cessazioni di rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato che danno diritto ai trattamenti NASpI.

Più precisamente il datore di lavoro è tenuto a versare il ticket di licenziamento nelle seguenti ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro:

  • licenziamento per giustificato motivo soggettivo e oggettivo;
  • licenziamento per giusta causa;
  • licenziamento durante o dopo il periodo di prova;
  • licenziamento per superamento del periodo di comporto;
  • recesso dell’apprendista al termine del periodo formativo;
  • dimissioni per giusta causa;
  • risoluzione consensuale nell’ambito della procedura obbligatoria di conciliazione ex art. 7 della legge 604/1966 da instaurarsi dinnanzi l’Ispettorato Territoriale del Lavoro. Procedura che trova applicazione nel caso di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo di dipendenti che soggiacciano al regime di tutela di cui all’art. 18 della Legge 300/70. Non trova, invece, applicazione nei confronti di lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 che rientrano nel regime di tutela previsto dal previsto dal D.Lgs. 23/2015 (c.d. “tutele crescenti”);
  • risoluzione consensuale a seguito del rifiuto del lavoratore di trasferirsi presso altra sede della stessa azienda distante oltre 50 km dalla propria residenza o mediamente raggiungibile in oltre 80 minuti con i mezzi di trasporto pubblico.

Il valore del ticket è pari al 41% del massimale mensile di NASpI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni, nei casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per le causali che, indipendentemente dal requisito contributivo, darebbero diritto alla NASpI.

Nell’ambito di procedure di licenziamento collettivo di aziende rientranti nel campo di applicazione della CIGS, ai sensi dell’articolo 1 comma 137 della legge n.205/2017, i datori di lavoro sono tenuti a versare il contributo per un importo pari all’82% del massimale mensile NASpI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni.

L’INPS, con la circolare in esame, ha precisato che il contributo, per l’anno 2021, è pari a 503,30 euro (41% di 1.227,55 euro) per ogni anno di lavoro effettuato, fino ad un massimo di 3 anni: l’importo massimo del contributo è pari a 1.509,90 euro per i rapporti di lavoro di durata pari o superiore a 36 mesi.

Il contributo, inoltre, deve essere calcolato in proporzione ai mesi di anzianità aziendale. Qualora il rapporto di lavoro cessato sia inferiore a dodici mesi, il contributo si ridetermina in proporzione: a tal fine si considera mese intero una prestazione lavorativa protrattasi per almeno 15 giorni di calendario.

Nelle casistiche di licenziamento collettivo invece, dando seguito a quanto precisato in precedenza, per l’anno 2021, per ogni 12 mesi di anzianità aziendale, la contribuzione da versare è pari a 1.006,59 euro (1.227,55 x 82%).

Per i lavoratori con anzianità pari o superiore a 36 mesi il contributo sarà pari a 3.019,77 euro (1.006,59 x 3).

La misura del contributo è moltiplicata per 3 volte qualora non venga raggiunto e sottoscritto accordo sindacale all’esito della procedura di licenziamento collettivo.

Marzo 2021: NOVITA’ E RINNOVI CCNL

  1. CCNL Agenzie di viaggio e turismo (Confcommercio): una tantum

Il CCNL dispone che, nel mese di marzo 2021, sia erogata la 2° tranche dell’una tantum prevista dall’articolo 151. L’erogazione della 3° e ultima tranche è in programma per il mese di settembre 2021.

Di seguito si indica, in Euro, il dettaglio delle diverse tranche che costituiscono l’importo una tantum.

Livelli

1° tranche (10/2019)

2° tranche (03/ 2021)

3° tranche (09/2021)

Totale

a

128,25

128,25

128,25

384,75

b

118,50

118,50

118,50

355,50

1

111,00

111,00

111,00

333,00

2

101,25

101,25

101,25

303,75

3

95,25

95,25

95,25

285,75

4

90,00

90,00

90,00

270,00

5

84,75

84,75

84,75

254,25

6s

81,00

81,00

81,00

243,00

6

80,25

80,25

80,25

240,75

7

75,00

75,00

75,00

225,00

 

  1. CCNL Case di cura private – personale medico (ARIS): una tantum

Il CCNL riconosce ai dirigenti medici dipendenti delle strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali di diritto privato aderenti ad ARIS assunti prima del 1° gennaio 2020 ed ancora in servizio alla data del successivo 7 ottobre un importo netto a titolo di una tantum pari ad Euro 2.500,00. Detto importo ha la finalità di riparare il disagio derivante dalla ritardata sottoscrizione del CCNL stesso.

L’importo verrà corrisposto in 5 tranches di pari importo, con le retribuzioni dal mese di gennaio 2021 al mese di maggio 2021.

 

  1. CCNL Sacristi: una tantum

Il CCNL ha riconosciuto ai sacristi in forza dal 1° gennaio 2018, in aggiunta alla retribuzione ordinaria, una indennità lorda una tantum, senza alcun riflesso su alcun istituto retributivo e di legge, pari ad Euro 1.300,00 da erogarsi in tre quote.

Nel mese di marzo 2021 dovrà essere corrisposta la terza ed ultima quota. In ogni caso, per comprovate ragioni economiche, i datori di lavoro potranno richiedere di essere esonerati dalla corresponsione della suddetta indennità all’Ente Bilaterale, cui il CCNL demanda l’individuazione dei relativi criteri di esonero. Per i sacristi assunti a tempo parziale l’importo dell’una tantum è proporzionato in base alla percentuale dell’orario ridotto rispetto al tempo pieno, corrispondente a 44 ore settimanali.

 

  1. CCNL in scadenza

Alla data attuale, risultano in scadenza al 31 marzo 2021 i seguenti CCNL:

  • CCNL Teatri (Esercizi);
  • CCNL Organizzazioni di cooperazione e solidarietà internazionali;
  • CCNL Teatri stabili (impiegati ed operai);
  • CCNL Teatri stabili (personale artistico).
  1. Aumento dei minimi retributivi

A decorrere dal 1° marzo 2021 è previsto un aumento dei minimi retributivi tabellari dei seguenti contratti collettivi nazionali di lavoro:

  • CCNL Alberghi diurni (Confcommercio);
  • CCNL Autorimesse e noleggio automezzi;
  • CCNL Edilizia (Artigianato);
  • CCNL Pubblici esercizi (Confcommercio);
  • CCNL Pubblici esercizi, ristorazione e turismo;
  • CCNL Stabilimenti balneari (Confcommercio);
  • CCNL Turismo (Confesercenti).

Mancata assunzione alle dipendenze della PA: al lavoratore non spetta la ricostituzione della posizione contributiva (Andrea Di Nino, Sintesi – Ordine dei Consulenti del Lavoro, gennaio 2021)

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25225 del 10 novembre 2020, ha affermato che, in caso di illegittima lesione del diritto soggettivo all’assunzione alle dipendenze di una pubblica amministrazione, è diritto del lavoratore danneggiato ottenere il risarcimento del danno per la perdita delle retribuzioni, ma non di quello relativo alla mancata costituzione della propria posizione previdenziale presso l’assicurazione generale obbligatoria.

I fatti di causa vedono una lavoratrice impugnare giudizialmente il provvedimento che la dichiarava decaduta dal beneficio della riserva previsto in favore degli invalidi civili, fatto valere dalla stessa al momento dell’iscrizione nella graduatoria degli aspiranti insegnanti supplenti presso la scuola materna.

L’azione giudiziale della lavoratrice era motivata dal convincimento che il provvedimento in oggetto fosse basato su di un accertamento medico che l’aveva illegittimamente ritenuta non invalida.

Il ricorso della lavoratrice trova accoglimento presso la competente Corte d’Appello, che condanna il Ministero coinvolto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale arrecato, oltre che alla regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale per tutto il periodo in cui la lavoratrice era rimasta disoccupata, da effettuare mediante il versamento dei contributi previdenziali dovuti per tale periodo.

La contesa giunge presso la Corte di Cassazione, la quale afferma preliminarmente che, qualora dall’atto illegittimo adottato dalla P.A. sia derivata, quale conseguenza diretta, la lesione del diritto soggettivo alla tempestiva assunzione, la lavoratrice non potrebbe avanzare pretese retributive: tali richieste presupporrebbero infatti “l’avvenuta instaurazione del rapporto sinallagmatico”, circostanza che, nei fatti, non si è verificata. Al contrario, a dire dei giudici della Suprema Corte la lavoratrice ha invece titolo di “agire per il risarcimento del danno ex art. 1218 c.c.”.

Nel dettaglio, qualora la lavoratrice si trovasse nella condizione di dimostrare di essere rimasta “priva di occupazione o di aver lavorato a condizioni deteriori” a seguito dell’atto illegittimo da cui è stata interessata, questa potrebbe richiedere il ristoro per il lucro cessante, ossia per il mancato guadagno derivante dalla perdita delle retribuzioni.

Ciononostante, l’interessata – a dire dei giudici di legittimità – non può richiedere che venga costituita la propria posizione previdenziale a titolo di risarcimento, poiché “il rapporto previdenziale, che è indisponibile, sorge solo in presenza dei necessari requisiti richiesti dalla legge e l’istituto assicuratore non può accettare contributi che non siano effettivamente dovuti”.

La Suprema Corte espone come il rapporto di lavoro subordinato costituisca imprescindibile presupposto di quello previdenziale, autonomo ma necessariamente correlato a questo, e “l’obbligo datoriale di pagare integralmente i contributi dovuti si configura, nell’ambito del rapporto di lavoro, come obbligo di facere, non già come un diritto di credito ai contributi da parte del lavoratore”.

Di conseguenza, presupposto necessario per la condanna del datore di lavoro al versamento della contribuzione sarebbe la sussistenza di un rapporto di lavoro.

Accolto dunque soltanto parzialmente il ricorso presentato dal Ministero coinvolto, la Suprema Corte ha dichiarato non dovuta la regolarizzazione della posizione previdenziale della lavoratrice illegittimamente cancellata dagli elenchi del collocamento obbligatorio.

Proroga dei trattamenti di integrazione salariale previsti dalla Legge di Bilancio 2021

A seguito del protrarsi dello stato di emergenza, la legge di bilancio 2021 ha prorogato di ulteriori 12 settimane i trattamenti di integrazione salariale con causale COVID.

Tali 12 settimane devono essere collocate tra il 1° gennaio 2021 ed il 31 marzo 2021 per i trattamenti di Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria e tra il 1° gennaio 2021 ed il 30 giugno 2021 per i trattamenti di Assegno Ordinario e Cassa Integrazione Guadagni in Deroga.

Ammessi a beneficiarne sono tutti i lavoratori in forza alla data del 1° gennaio 2021, quindi anche gli assunti dopo il 25 marzo 2020.

Inoltre, la fruizione di queste 12 settimane è gratuita per i datori di lavoro. Non devono versare alcun contributo addizionale.

Il termine ultimo per l’invio delle domande è fissato entro la fine del mese successivo al periodo di sospensione o riduzione dell’attività. Restiamo, dunque, in attesa delle istruzioni operative da parte dell’Inps per procedere alla presentazione della domanda di accesso un volta esperita la fase sindacale, ove prevista.

INPS: al via i controlli sulla corretta esposizione in UNIEMENS dell’imponibile eccedente il massimale

L’INPS, con il messaggio n. 5062 del 31 dicembre 2020, ha comunicato l’avvio di un’azione di controllo circa la corretta esposizione, a far data dall’anno 2015, nelle denunce contributive mensili inviate dalle aziende (c.d. UNIEMENS) dell’imponibile eccedente il massimale contributivo.

Normativa di riferimento

Ai sensi di quanto disposto dall’art 2, comma 18, della Legge n. 335/1995, il massimale contributivo costituisce il limite – annualmente rivalutato – oltre il quale la retribuzione corrisposta a ciascun lavoratore non è soggetta al prelievo di contributi previdenziali.

Tale disposizione si applica, oltre che ai lavoratori iscritti alla Gestione Separata INPS, (i) ai lavoratori iscritti al Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti (c.d. FPLD) privi di anzianità contributiva in periodi pregressi al 1° gennaio 1996, nonché (ii) a coloro che, pur avendo un’anzianità contributiva ante 1° gennaio 1996, hanno presentato domanda irrevocabile di opzione al sistema contributivo.

Così come precisato dall’INPS nel messaggio in esame, per anzianità contributiva si intendono:

  • gli accrediti complessivi – anche se presenti in gestioni previdenziali diverse, come a titolo esemplificativo e non esaustivo la Gestione Separata, la Gestione Commercianti e la Gestione dipendenti pubblici o casse di previdenza – relativi a rapporti di lavoro privati o pubblici, dipendenti o autonomi svolti entro il 31 dicembre 1995 nonché
  • i periodi di contribuzione figurativa, di contribuzione facoltativa, i riscatti (ad esempio, il riscatto di laurea), i trasferimenti gratuiti ed onerosi e la contribuzione volontaria antecedenti al 1° gennaio 1996.

Ciò premesso il datore di lavoro – qualora il lavoratore non dovesse avere la predetta anzianità lavorativa e/o non avesse esercitato il diritto di opzione al sistema contributivo – avrà l’onere di versare sulla retribuzione eccedente il massimale annuo unicamente i c.d. contributi minori (non utili ai fini pensionistici) valorizzando il campo <eccedenza massimale> in ciascun flusso UNIEMENS mensile.

L’azione dell’INPS

L’INPS, come da messaggio in esame, ha avviato un’attività di verifica estraendo i nominativi di tutti i lavoratori iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti ed utilizzando le denunce contributive UNIEMENS trasmesse tra il 2015 e il 2016 in cui vi era la valorizzazione del predetto campo <eccedenza massimale>.

Dall’analisi svolta l’Istituto ha rilevato due principali anomalie:

  1. presenza di lavoratori con imponibili annui inferiori al massimale contributivo previsti per l’anno analizzato;
  2. presenza di lavoratori il cui estratto conto previdenziale evidenziava la presenza del versamento di contributi in data anteriore al 1° gennaio 1996 (con assenza di opzione per il sistema contributivo).

A seguito dell’individuazione di tali anomalie, l’INPS ha avviato un’azione di recupero dei contributi dovuti e non versati trasmettendo a ciascun datore di lavoro interessato, a mezzo PEC, una diffida ad adempiere. Nella diffida viene indicato il codice fiscale del lavoratore oggetto della verifica, l’imponibile su cui il datore di lavoro avrebbe dovuto versare l’intera contribuzione, i contributi dovuti e le relative sanzioni calcolate ai sensi dell’art. 116, comma 8, lettera a), della Legge 388/2000 (ovverosia le sanzioni per omissione contributiva).

Per garantire ai datori di lavoro un lasso temporale congruo per verificare quanto contestato e regolarizzare la posizione dei lavoratori oggetto di analisi, l’Istituto ha accordato un termine di adempimento di 90 giorni decorrenti dalla data di notifica della diffida.

In caso di mancata regolarizzazione delle somme dovute a titolo di contributi e sanzioni civili, l’INPS ha ribadito che provvederà a richiedere gli importi dovuti per il tramite di avviso di addebito con valore di titolo esecutivo. Detto avviso verrà contestualmente consegnato all’Agente della Riscossione per l’avvio delle attività di recupero coattivo.

Resta inteso che è facoltà di ciascun datore di lavoro, anche per il tramite di un intermediario abilitato, verificare quanto indicato nelle comunicazioni dell’INPS avviando un dialogo con lo stesso per il tramite del cassetto bidirezionale nonché procedere con la trasmissione telematica di ricorso amministrativo.

 

Legge di Bilancio 2021: Opzione Donna e Isopensione

La Legge n. 178/2020 (c.d. Legge di Bilancio 2021) ha introdotto alcune novità in materia pensionistica, tra cui la proroga di due istituti volti ad anticipare la cessazione dell’attività lavorativa e l’accesso a prestazioni previdenziali per talune categorie di soggetti, ovverosia “Opzione Donna” e “Isopensione”.

Opzione Donna

Con Opzione Donna le lavoratrici dipendenti ed autonome – in possesso di determinati requisiti anagrafici e contributivi – possono decidere di anticipare l’uscita dal mondo del lavoro e, contestualmente, l’accesso alla pensione rispetto alle regole ordinarie. Regole che ad oggi prevedono in alternativa: (i) il raggiungimento di un’età anagrafica pari a 67 anni unitamente ad un minimo di 20 anni di contributi (c.d. pensione di vecchiaia) o (ii) il perfezionamento di almeno 41 anni e 10 mesi di contributi indipendentemente dall’età anagrafica (c.d. pensione anticipata).

La Legge di Bilancio 2021 prevede la proroga per un ulteriore anno di questo istituto sperimentale già disciplinato dal Decreto Legge n. 4/2019, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 26/2019.

Nello specifico possono accedere ad Opzione Donna le lavoratrici dipendenti che, entro la fine del 31 dicembre 2020, abbiano perfezionato i 58 anni di età e i 35 anni di contributi. Per le autonome, il requisito anagrafico è di 59 anni. Inoltre, dal perfezionamento del requisito occorre attendere 12 mesi di “finestra mobile” (incrementata a 18 mesi per le lavoratrici autonome) per ottenere l’effettiva liquidazione della pensione.

Tale finestra non si applica alle lavoratrici a tempo indeterminato del comparto scuola e delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica (Afam), le quali potranno presentare la domanda di cessazione e di pensione, entro il 28 febbraio 2021 così da poter accedere alla pensione all’inizio dell’anno

scolastico o accademico (ovvero settembre o novembre 2021).

Tuttavia, con l’esercizio di Opzione Donna, le lavoratrici accettano il calcolo del proprio assegno pensionistico interamente con il sistema contributivo, anche per le anzianità precedenti al 1° gennaio 1996.

Isopensione

La Legge di Bilancio 2021 ha esteso fino al 2023 la possibilità per i lavoratori interessati da processi di riorganizzazione aziendale per eccedenze di personale, di accedere al pensionamento anticipato (c.d. isopensione), già disciplinato per il triennio 2018-2020 dalla Legge di Bilancio 2018.

Nello specifico, l’istituto dell’isopensione ha ampliato la portata del c.d. “prepensionamento Fornero”, ex articolo 4 della Legge 92/2012, incrementando da 4 a 7 anni l’uscita anticipata dal mondo del lavoro con la garanzia per il lavoratore di percepire una prestazione previdenziale nell’arco temporale tra l’esodo e il perfezionamento dei requisiti per accedere alla pensione di vecchiaia o anticipata.

L’isospensione può essere attivata:

  1. attraverso un accordo stipulato tra il datore di lavoro (che impiega mediamente più di quindici dipendenti) e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello aziendale al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori più prossimi alla pensione. Tuttavia, condizione costitutiva della cessazione del rapporto di lavoro sarà la successiva adesione del lavoratore all’accordo sindacale medesimo;
  2. in favore di lavoratori che raggiungano i requisiti minimi anagrafici e/o contributivi del pensionamento di vecchiaia o anticipato non oltre il settimo anno successivo alla cessazione del rapporto di lavoro.

Ricorrendo all’isopensione il datore di lavoro si impegna a corrispondere all’INPS la provvista finanziaria necessaria per (i) erogare al lavoratore interessato una prestazione di importo pari al trattamento di pensione che spetterebbe al momento della risoluzione del rapporto di lavoro in base alle regole vigenti e (ii) accreditare la contribuzione fino al raggiungimento dei requisiti minimi per il pensionamento del lavoratore interessato.

In sostanza l’onere finanziario dell’isopensione è completamente a carico del datore di lavoro il quale deve provvedere a trasferire all’INPS le risorse finanziarie per il pagamento della prestazione in favore del lavoratore e per l’accredito dei contributi figurativi per tutto il periodo di esodo.

Legge di Bilancio 2021: panoramica sugli sgravi contributivi

Resta centrale all’interno della Legge di Bilancio 2021 il tema delle agevolazioni contributive, aventi il duplice scopo di generare occupazione e garantire maggiore liquidità alle imprese. Di seguito, una breve panoramica delle principali agevolazioni ivi previste.

Esonero dal versamento dei contributi previdenziali per aziende che non richiedono trattamenti di integrazione salariale legati all’emergenza COVID-19

Il Decreto Agosto aveva introdotto un esonero dal versamento dei contributi previdenziali, fruibile entro il 31 dicembre 2020, in favore dei datori di lavoro privati, con esclusione del settore agricolo, che:

  • non avessero richiesto i trattamenti di integrazione salariale emergenziale previsti dal citato Decreto e
  • avessero già fruito, nei mesi di maggio e giugno 2020 dei trattamenti di integrazione salariale per emergenza Covid-19.

Tale esonero era calcolato nei limiti del doppio delle ore di integrazione salariale già fruite nei predetti mesi di maggio e giugno 2020, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’Inail.

La Legge di Bilancio 2021 riconosce ai medesimi datori di lavoro un esonero dal versamento dei contributi previdenziali a loro carico, per un ulteriore periodo massimo di otto settimane, fruibili entro il 31 marzo 2021, nel limite delle ore di integrazione salariale già fruite nei mesi di maggio e giugno 2020, con esclusione dei premi e dei contributi dovuti all’lnail.

In ragione di quanto precede, la misura dell’esonero ammonta esattamente alla metà dell’esonero previsto dal Decreto Agosto.

Sgravio contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato di soggetti “under 36”

In un’ottica di potenziamento della riduzione dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro in caso di assunzione, per il biennio 2021-2022, è stato introdotto lo sgravio contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato di soggetti con età inferiore a 36 anni.

Sono escluse le assunzioni di dirigenti o lavoratori domestici e, contestualmente, è stato previsto che i soggetti interessati, oltre al requisito anagrafico, non devono aver avuto rapporti di lavoro a tempo indeterminato con altri datori di lavoro.

La misura dello sgravio contributivo è pari al 100 per cento dei contributi dovuto dal datore di lavoro nel limite massimo di 6.000,00 euro annui con esclusione dei premi e dei contributi dovuti all’lnail.

La durata dell’esonero è di 36 mesi che viene elevato a 48 mesi per i datori di lavoro con sede o unità produttiva ubicata nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna.

È precluso l’accesso allo sgravio in argomento ai datori di lavoro che abbiano proceduto, nei sei mesi precedenti all’assunzione, a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo di lavoratori con medesima qualifica del lavoratore assunto.

Contestualmente, viene elevato da sei a nove mesi – successivi all’assunzione medesima – il periodo di tempo in cui il riconoscimento dello sgravio è incompatibile con l’effettuazione di licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo o di licenziamenti collettivi di soggetti che, nella stessa unità produttiva, siano inquadrati nella medesima qualifica del lavoratore assunto.

Sgravio contributivo per l’assunzione di donne

La Legge di Bilancio 2021 è anche intervenuta sull’esonero già esistente per l’assunzione di donne, mutandone alcuni tratti caratteristici e potenziandone i benefici.

Nello specifico sono state introdotte due modifiche essenziali (anche se sperimentali perché limitate al biennio 2021-2022), ossia:

  • estensione alle assunzioni di tutte le lavoratrici, effettuate nel medesimo biennio, dello sgravio contributivo attualmente previsto solo per le assunzioni di donne in determinate condizioni definite dalla riforma Fornero (legge 92/2012), ed
  • incremento dal 50 al 100% della riduzione dei contributi a carico del datore di lavoro.

Così come per l’esonero di soggetti under 36 anni, anche l’esonero contributivo per le assunzioni di lavoratrici è riconosciuto nella misura del 100% e nel limite massimo di importo pari a 6.000 euro annui.

La durata dello sgravio è pari a 12 mesi per le assunzioni a tempo determinato, elevabili a 18 mesi in caso di assunzioni o trasformazioni a tempo indeterminato.

Condizione necessaria e sufficiente per la fruizione dello sgravio è che le assunzioni comportino un incremento occupazionale netto calcolato sulla base della differenza tra il numero dei lavoratori rilevato in ciascun mese ed il numero dei lavoratori mediamente occupati nei dodici mesi precedenti.

Decontribuzione SUD

Dando seguito alle disposizioni del Decreto Agosto, il legislatore torna ad occuparsi della cd. decontribuzione SUD per la quale era pervenuta l’autorizzazione della Commissione Europea e in merito alla quale l’Inps aveva già provveduto ad illustrare i primi chiarimenti operativi con la circolare n. 122/2020.

L’obiettivo dello strumento in esame è garantire i livelli occupazionali in alcune Regioni del centro sud (Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Basilicata, Sicilia e Sardegna) in un momento in cui la crisi pandemica continua a far sentire i propri effetti.

La Decontribuzione SUD prevede un esonero contributivo dal versamento dei contributi complessivi in favore dei datori di lavoro privati, con esclusione di quelli appartenenti al settore agricolo ed ai titolari di contratto di lavoro domestico, ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche.

Il beneficio riguarda tutti i datori di lavoro privati (ivi inclusi studi professionali, enti morali e religiosi, associazioni), con esclusione del settore agricolo e dei datori di lavoro che stipulino contratti di lavoro domestico.

Sono incentivati tutti i rapporti di lavoro subordinato purché sia rispettato il requisito geografico dello svolgimento della prestazione lavorativa in una delle seguenti regioni: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia.

Trattandosi di un intervento che produrrà effetti fino all’anno 2029, la misura dell’esonero nei diversi anni risulta la seguente:

  • in misura del 30% fino al 31 dicembre 2025;
  • in misura pari al 20% per gli anni 2026 e 2027;
  • in misura pari al 10% per gli anni 2028 e 2029.

L’esonero contributivo in esame è cumulabile con altri incentivi fino alla misura intera delle aliquote di finanziamento dei contributi previdenziali dovuti dal datore di lavoro.

◊ ◊ ◊ ◊

Si segnala che l’esonero contributivo previsto per il Sud nella misura del 30% verrà riconosciuto per le assunzioni fino al prossimo 30 giugno, nel rispetto del “placet” della Commissione Europea già avvenuto per lo sgravio che ha riguardato gli ultimi mesi del 2020, ai sensi dell’art. 27, comma 1, del Decreto Agosto.

Invece, per i periodi successivi sempre con riferimento al predetto esonero e per gli altri sgravi sopra descritti, l’effettiva efficacia è subordinata ad una nuova decisione della Commissione Europea Bruxelles ai sensi dell’art. 108, del Trattato dell’Unione.

Lavoratori impatriati: nuove istruzioni da parte dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 33/E/2020 del 28 dicembre 2020, ha fornito nuove istruzioni in merito al regime fiscale di favore riconosciuto ai lavoratori impatriati e disciplinato, da ultimo, dal “Decreto Crescita” (Decreto Legge n. 34/2019) e del Decreto Fiscale collegato alla manovra del 2020 (Legge n. 124/2019).

Normativa di riferimento

Il Decreto Crescita ha ampliato la platea dei beneficiari del regime fiscale agevolato quinquennale a decorrere dall’anno d’imposta 2020.

In particolare, il Decreto non richiede più che il lavoratore “impatriato” svolga un ruolo apicale e possegga “requisiti di elevata qualificazione o specializzazione”, restando sufficiente aver trascorso un periodo di residenza all’estero di almeno due anni prima dell’ingresso in Italia e il contestuale impegno a permanere nel nostro Paese per almeno due anni.

Inoltre, viene innalzata la misura dell’incentivo prevedendo l’incremento della percentuale di abbattimento dell’imponibile fiscale dei redditi agevolabile dal 50 al 70 per cento, con la possibilità di un ulteriore incremento fino al 90 per cento in presenza di determinate condizioni (come, ad esempio, il trasferimento del lavoratore in una regione del Mezzogiorno).

La durata del beneficio viene poi estesa per ulteriori cinque periodi d’imposta in favore di chi: (i) abbia almeno un figlio minorenne o a carico e (ii) abbia acquistato un immobile residenziale in Italia nei 12 mesi precedenti il trasferimento o entro la fine del primo quinquennio. In questi casi l’abbattimento dell’imponibile si assesterebbe al 50 per cento ovvero al 90 per cento per i lavoratori impatriati con almeno tre figli minorenni o a carico.

A completamento del quadro normativo sopra descritto, il Decreto Fiscale collegato alla manovra fiscale del 2020 ha esteso, già dall’anno 2019, la decorrenza del nuovo regime fiscale agevolato anche ai lavoratori che avessero trasferito la propria residenza fiscale in Italia tra il 30 aprile 2019 e il 2 luglio 2019.

I chiarimenti dell’Agenzia dell’Entrate

Quest’ultima “estensione” ha reso necessario un intervento risolutivo dell’Agenzia dell’Entrate che, proprio con la circolare n. 33/E/2020, ha chiarito come l’abbattimento dell’imponibile fiscale dal 50 al 70 per cento risulti, ad oggi, ancora inapplicabile.

Bisogna attendere l’emanazione di un decreto attuativo del Ministero dell’Economia e delle Finanze che faccia luce sui criteri di accesso al nuovo regime agevolato anche per l’anno 2019, considerate anche le limitate risorse a disposizione.

In ogni caso, stando a quanto si legge nella circolare, nelle more dell’emissione del decreto attuativo, i soggetti che “abbiano trasferito la residenza fiscale in Italia dal 30 aprile 2019 al 2 luglio 2019, in presenza di tutti i requisiti previsti dalla norma, possono avvalersi dell’agevolazione nella minore misura del 50 per cento”. Non vi è alcuna menzione ai possibili prolungamenti del regime agevolativo nei casi previsti dalla nuova formulazione.

Resta inteso, infine, che “per i soggetti rientrati a decorrere dal periodo di imposta 2020, il regime agevolato in esame è operativo indipendentemente dall’emanazione del citato decreto”.

Non resta a questo punto che attendere il decreto attuativo.

Febbraio 2021: NOVITA’ E RINNOVI CCNL

  1. CCNL Autostrade e trafori (Concessionari): cassa integrazione ed ente bilaterale

Il CCNL Autostrade e trafori (Concessionari) dispone che, entro il mese di febbraio 2021, il datore di lavoro eroghi ai lavoratori in forza al 25 novembre 2020 un importo indennitario, comprensivo della contribuzione a carico del lavoratore e del datore di lavoro e della contribuzione Inail, per ciascuna ora di mancata prestazione e collocazione in CIG con causale COVID-19.

Il fondo EBINAT procederà poi a corrispondere a ciascuna azienda la somma derivante dal numero di ore di cassa integrazione COVID-19 moltiplicate per l’importo orario corrispondente a ciascun livello secondo quanto indicato nella tabella che segue.

Livello di inquadramento

Importo orario da corrispondere

A

Euro 19,83

A1

Euro 16,85

B

Euro 14,48

B1

Euro 12,51

C

Euro 10,47

C1

Euro 9,25

D

Euro 5,88

 

2. CCNL Istituzioni socio-assistenziali (UNEBA): una tantum

Al personale in forza al 1° febbraio 2021 che abbia superato il periodo di prova, verrà riconosciuta con la retribuzione del mese di febbraio 2021 una somma forfettaria omnicomprensiva a titolo di una tantum secondo gli importi sotto riportati.

Livello

Importo da corrispondere

Quadro

Euro 133,33

1

Euro 125,4

2

Euro 118,25

3S

Euro 109,52

3

Euro 105,55

4S

Euro 100,00

4

Euro 96,83

5S

Euro 95,24

5

Euro 92,86

6S

Euro 90,48

6

Euro 88,10

7

Euro 81,75

 

3. CCNL Case di cura private – personale medico (ARIS): una tantum

Il CCNL Case di cura private – personale medico (ARIS) riconosce ai dirigenti medici dipendenti delle strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali di diritto privato aderenti ad ARIS, assunti prima del 1° gennaio 2020 ed ancora in servizio alla data del 7 ottobre 2020, un importo netto a titolo di una tantum pari ad Euro 2.500,00. Questo importo ha la finalità di sopperire al disagio derivante dalla ritardata sottoscrizione del CCNL stesso.

L’importo verrà corrisposto in 5 tranches di pari importo, con le retribuzioni dal mese di gennaio 2021 al mese di maggio 2021.

4. CCNL Servizi postali appaltati: una tantum

Ai sensi del CCNL servizi postali appaltati nel mese di febbraio 2021 i datori di lavoro dovranno erogare ai lavoratori in forza al 14 luglio 2020 la tranche dell’importo riconosciuto a titolo di una tantum.

L’ammontare dell’una tantum, determinato analiticamente dal CCNL stesso e parametrato per ciascun livello di inquadramento, deve essere corrisposto pro-quota con riferimento a tante quote mensili quanti sono stati i mesi di servizio effettivo prestati nel periodo 1° gennaio 2017 – 31 luglio 2020 e riproporzionato per i lavoratori a tempo parziale.

Le prossime tranches interesseranno i mesi di agosto e dicembre 2021.

Decreto Agosto: esonero dal versamento contributivo e chiarimenti dell’INPS

L’INPS, con la circolare n. 133 del 24 novembre 2020, ha fornito i chiarimenti per la corretta gestione dell’esonero contributivo previsto dall’art. 6 del Decreto Legge 14 agosto 2020, n. 104 (c.d. “Decreto Agosto”), convertito, con modificazioni, dalla Legge 13 ottobre 2020, n. 12.

Normativa di riferimento

L’art. 6 del Decreto Agosto ha introdotto l’esonero totale dal versamento dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, ad eccezione del settore agricolo, per le assunzioni di lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato (anche part-time) effettuate nel periodo intercorrente tra il 15 agosto e il 31 dicembre 2020. I lavoratori non devono aver avuto un rapporto a tempo indeterminato con lo stesso datore di lavoro nei sei mesi precedenti l’assunzione.

L’esonero trova applicazione anche in caso di trasformazione del contratto di lavoro subordinato a tempo determinato in contratto di lavoro a tempo indeterminato effettuata nel predetto arco temporale nonché per le assunzioni a tempo indeterminato a scopo di somministrazione. L’esonero non è, invece, applicabile per le assunzioni di lavoratori con contratto di apprendistato, con contratto di lavoro domestico nonché per le assunzioni con contratto di lavoro intermittente.

L’incentivo è fruibile per un periodo di massimo sei mesi decorrenti dall’assunzione/trasformazione ed è pari alla contribuzione previdenziale a carico del datore di lavoro, ad esclusione dei premi INAIL, e di altri contributi minori come, a titolo esemplificativo e non esaustivo, il contributo, ove dovuto, ai fondi di cui agli artt. 26-29 del D.Lgs. 148/2015 e il contributo dello 0,30% destinato o destinabile al finanziamento dei fondi interprofessionali.

L’ammontare massimo mensile della contribuzione esonerabile ammonta ad Euro 671,66 (da riproporzionare nel caso di rapporto di lavoro part-time). Ciò significa che l’importo massimo fruibile è pari al minor importo tra la normale contribuzione mensile dovuta esonerabile e il limite mensile di agevolazione.

I chiarimenti dell’INPS

L’INPS, con la circolare in esame, in primis, precisa che il diritto alla fruizione dell’esonero è subordinato al possesso dei requisiti previsti dall’articolo 1, comma 1175, della Legge 296/2006, ovverosia: (i)  il possesso del documento unico di regolarità contributiva, (ii) l’assenza di violazioni delle norme fondamentali a tutela delle condizioni di lavoro e rispetto degli altri obblighi di legge; (iii) il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali e di quelli regionali, territoriali o aziendali, sottoscritti dalle Organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

In aggiunta, la citata circolare specifica che, così come previsto per gli altri esoneri contributivi, è necessario il rispetto delle condizioni di cui all’art. 31 del D.lgs. n. 150/2015. In particolare l’esonero contributivo spetta nel caso in cui l’assunzione (i) non violi il diritto di precedenza stabilito dalla legge o dal contratto collettivo, alla riassunzione di un lavoratore e (ii) non riguardi lavoratori licenziati, nei sei mesi precedenti, da parte di un datore di lavoro che, alla data del licenziamento, presentava elementi di relazione con il datore di lavoro che assume, sotto il profilo della sostanziale coincidenza degli assetti proprietari ovvero della sussistenza di rapporti di controllo o collegamento.

Da un punto di vista procedurale, viene previsto che il datore di lavoro per fruire del beneficio in trattazione deve presentare apposita istanza di ammissione all’Istituto, in modalità telematica attraverso, il portale delle agevolazioni (ex Diresco).

Nell’istanza devono essere indicati:

  • i dati del lavoratore assunto a tempo indeterminato o il cui rapporto è stato trasformato da tempo determinato a tempo indeterminato;
  • il codice numerico della comunicazione obbligatoria di assunzione (c.d. COB) trasmessa al centro per l’impiego;
  • l’importo della retribuzione mensile del lavoratore comprensiva del valore dei ratei delle mensilità aggiuntive;
  • l’aliquota contributiva applicabile alla retribuzione del lavoratore che può essere oggetto di sgravio.

Una volta ottenuta la richiesta di ammissione, a seguito del controllo dei requisiti formali e della disponibilità delle risorse finanziare stanziate, l’INPS calcolerà l’importo dell’incentivo e autorizzerà l’ammontare dell’esonero per il periodo di competenza.

Infine, l’Istituto, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 6, comma 3, del Decreto Agosto, precisa che l’esonero in trattazione è cumulabile con altri esoneri contributivi previsti dalla normativa vigente entro i limiti della contribuzione previdenziale dovuta.

Detassazione dei premi di risultato: il parere dell’Agenzia delle Entrate

Con la risposta ad interpello n. 550, del 17 novembre 2020, l’Agenzia delle Entrate ha affrontato il tema della c.d. detassazione dei premi di risultato, chiarendo che è demandato al sostituto d’imposta, sotto la propria responsabilità, valutare se sussistono i requisiti richiesti dalla Legge di Stabilità 2016 per l’applicazione del regime fiscale agevolato.

Interpello

Un dipendente di un’impresa di assicurazione si era visto applicare sul premio aziendale, erogato nella busta paga di luglio 2020, la tassazione ordinaria in luogo dell’aliquota sostituiva di vantaggio del 10 per cento prevista dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di Stabilità 2016) e successive modifiche.

Il sostituto d’imposta aveva applicato la tassazione ordinaria sull’assunto che alla data di sottoscrizione del contratto integrativo di secondo livello, avvenuta il 1° ottobre 2019, non sussistevano dubbi nel raggiungimento dell’obiettivo di redditività aziendale per il 2019 misurabile con il parametro individuato nel predetto contratto.

L’istante, non aderendo alla tesi del sostituto d’imposta, presentava un interpello all’Agenzia delle Entrate per sapere se fosse stato corretto l’operato dell’impresa datrice di lavoro o se, invece, il premio aziendale potesse godere del regime fiscale agevolato previsto dall’articolo 1, commi 182 e ss., della Legge di Stabilità 2016.

Parere dell’Agenzia delle Entrate

L’art. 1, commi da 182 a 189, della Legge di Stabilità 2016 ha previsto un regime di tassazione agevolata, consistente nell’applicazione di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali del 10 per cento, per i premi di risultato di ammontare variabile, la cui corresponsione sia prevista da contratti collettivi di secondo livello (territoriali o aziendali) e legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, misurabili e verificabili sulla base dei criteri definiti con il Decreto Interministeriale 25 marzo 2016.

In particolare, al termine del periodo di maturazione previsto dal contratto (c.d. “periodo congruo”), deve essersi verificato un incremento di uno degli obiettivi indicati, costituente il presupposto per l’applicazione del regime agevolato. Non è, pertanto, sufficiente che l’obiettivo prefissato dalla contrattazione di secondo livello sia raggiunto, essendo, “altresì, necessario che il risultato conseguito dall’azienda risulti incrementale rispetto al risultato antecedente l’inizio del periodo di maturazione del premio.

In ragione di quanto precede e della funzione incentivante delle norme in argomento sul premio di risultato, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che il regime agevolato di tassazione si applica a condizione che: (i)il raggiungimento degli obiettivi incrementali alla base della maturazione del premio avvenga successivamente alla stipula del contratto dopo un periodo definito congruo”.

Pertanto, a parere dell’Agenzia, “i criteri di misurazione devono essere determinati con ragionevole anticipo rispetto ad una eventuale produttività futura non ancora realizzatasi”.

In sostanza il datore di lavoro (sostituto d’imposta) potrà applicare, sotto la propria responsabilità, l’imposta sostitutiva del 10 per cento qualora al termine del periodo congruo sia conseguito il risultato incrementale. Ciò, se nel contratto collettivo di secondo livello (sia esso territoriale o aziendale) viene attestato che il raggiungimento dell’obiettivo incrementale è effettivamente incerto alla data della sua sottoscrizione.

E nella fattispecie in esame, l’impresa datrice di lavoro non ha ritenuto possibile applicare l’imposta sostitutiva in quanto alla data di stipula dell’accordo – avvenuta il 1° ottobre 2019 – non sussisteva alcun dubbio circa il raggiungimento dell’obiettivo consistente nell’incremento dell’utile lordo dell’esercizio 2019, rispetto al corrispondente valore dell’anno 2018.

L’Agenzia delle Entrate ha ritenuto di non poter condividere l’interpretazione dell’istante sulla base del principio già enucleato con la risoluzione n. 36/E del 2020 in base al quale è demandato al sostituto d’imposta la verifica e la legittimazione circa l’effettiva sussistenza o meno dei requisiti richiesti per la tassazione agevolata.

Scopri le soluzioni HR
pensate per te