Dimissioni per fatti concludenti: il rapporto di lavoro si estingue anche in assenza della procedura telematica (Andrea Di Nino, Sintesi – Ordine dei Consulenti del Lavoro, luglio 2022)

Il Tribunale di Udine, con sentenza depositata il 26 maggio 2022, si è espresso in merito alla fattispecie delle dimissioni per fatti concludenti e alla procedura di “dimissioni telematiche” di cui all’articolo 26 del D.Lgs. n. 151/2015.

In particolare, i fatti oggetto del contendere hanno visto una lavoratrice assentarsi dal lavoro per un periodo prolungato, in particolare dal 14 dicembre 2019 e per oltre i sei mesi successivi, senza alcuna giustificazione. A fronte di tale circostanza, il datore di lavoro recapitava alla lavoratrice, tramite una lettera inviata il 12 giugno 2020, un invito formale a dimettersi. Dato il mancato riscontro della lavoratrice, l’8 luglio successivo veniva inviata al Centro per l’Impiego la comunicazione obbligatoria “Unilav” di cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni.

Detta risoluzione del rapporto di lavoro veniva però impugnata da parte della lavoratrice, in quanto mai erano state da lei rassegnate dimissioni, né comunque presentata la convalida in via telematica prevista dalla legge. La stessa, inoltre, si dichiarava al contempo disponibile a riprendere l’attività lavorativa, previo risarcimento delle retribuzioni maturate e dei relativi contributi previdenziali dovuti per i mesi trascorsi dal momento dell’assenza fino al ripristino del rapporto di lavoro.

L’assenza prolungata, in particolare, veniva motivata dallo stato di “prostrazione psicofisica” dovuto all’essere stata destinata alla “gravosa” attività di consegna delle vivande in determinati comuni, coerentemente all’attività economica svolta dal datore di lavoro.

Dal canto suo, il datore di lavoro eccepiva come il rapporto di lavoro si fosse, in realtà, risolto per esclusiva volontà della lavoratrice, per evidenti fatti concludenti costituiti dall’assenza ingiustificata protrattasi per oltre sei mesi. Tale circostanza era avvalorata dalle confidenze esternate dalla stessa lavoratrice alla propria responsabile di unità, consistenti nell’intenzione di non rientrare più in servizio a seguito delle ferie, iniziate il 9 dicembre 2020, a causa dell’insoddisfazione per il proprio lavoro.

A dire del datore di lavoro, il dichiarato intento della dipendente era, dunque, quello di provocare il recesso datoriale e ottenere, di conseguenza, la Naspi.

In generale, ai giudici del tribunale è risultato innanzitutto incontroverso, nella vicenda in esame, il fatto che la lavoratrice si sia volontariamente assentata in via continuativa dal lavoro a decorrere dal 14 dicembre 2019, senza mai fornire, a riguardo, alcuna giustificazione e senza riscontrare, per un periodo di oltre sei mesi, le missive del datore di lavoro.

Difatti, nonostante la contestazione disciplinare del 31 dicembre 2019 – in cui alla dipendente veniva contestata l’assenza ingiustificata in essere dal 14 dicembre precedente – e la lettera del 12 giugno 2020 – in cui si prendeva atto della risoluzione in “in via di fatto” del rapporto di lavoro e si invitava la lavoratrice a “comunicare le sue dimissioni secondo la modalità telematica vigente” – la dipendente restava silente, confermando di non aver volontariamente dato riscontro a tali comunicazioni per dichiarata assenza di interesse.

La dipendente stessa aveva anche invitato la propria responsabile di unità a non metterla in turno nel periodo natalizio, poiché “non credeva di rientrare” e si aspettava che sarebbe stata la società, eventualmente, a “doverla licenziare”.

Su queste basi, al giudice è apparso quindi evidente che la lavoratrice “abbia voluto porre fine al rapporto di lavoro con la società […] di sua iniziativa, avendo palesato tale intento […] alla propria responsabile e non essendo più rientrata a lavoro dopo le ferie”. Al di là della fondatezza delle motivazioni della lavoratrice, definite come “postume e piuttosto generiche”, il tribunale ha osservato come “come proprio tali motivazioni siano un chiaro ed ulteriore indice dell’intenzione attorea […] di porre termine alla sua esperienza lavorativa”.

Il giudice osserva, inoltre, come, nonostante la modifica legislativa sopraggiunta nel 2015 in tema di dimissioni e di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, lo scioglimento del contratto di lavoro per mutuo dissenso – e per dimissioni in particolare – sia anzitutto fondato sugli artt. 2118 e 2119 c.c., i quali sanciscono la regola generale della “libera recedibilità” da parte del lavoratore, fatto salvo il periodo di preavviso. Tale libertà di recesso è rimasta immutata, pertanto la sentenza illustra che “le dimissioni possono continuare a configurarsi come valide, almeno in ipotesi specifiche, anche per effetto di presupposti diversi da quelli della avvenuta formalizzazione telematica imposta con la novella del 2015”.

Inoltre, il giudice evidenzia come la Legge delega n. 183/2014 aveva previsto “modalità semplificate per garantire data certa nonché l’autenticità della manifestazione di volontà della lavoratrice o del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, anche tenuto conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso della lavoratrice o del lavoratore […]”.

Tale inciso – viene osservato – è rimasto totalmente inattuato nel D.Lgs. n. 151/2015, il contenuto del quale, dunque, sembra poter essere disapplicato di fronte alla fattispecie delle dimissioni per fatti concludenti.

In definitiva, viene ritenuto irragionevole ritenere che, in caso di inerzia del lavoratore nel dimettersi, possa porsi fine al rapporto di lavoro soltanto mediante l’adozione di un licenziamento per giusta causa. In questo caso, infatti, verrebbe intaccata la “libera esplicazione dell’autonomia imprenditoriale” ex art. 41 della Costituzione, sia in termini di rischi (la giustificazione in un ipotetico giudizio) che di costi (c.d. ticket Naspi) e, non da ultimo, si materializzerebbe una “ingiusta sottrazione di risorse” da destinarsi solo a vantaggio di quei lavoratori con effettivo diritto alla Naspi poiché disoccupati involontariamente.

Sulla base di tutte le considerazioni commentate, il riscorso della lavoratrice veniva respinto e il rapporto di lavoro ritenuto cessato definitivamente.

Agosto 2022: NOVITA’ E RINNOVI CCNL

  • CCNL Enti di istruzione formazione e cultura – Confimpresa

Il contratto collettivo nazionale di lavoro del 22 maggio 2019, decorrente dal 1° settembre 2018, scadrà il prossimo 31 agosto. Le disposizioni ivi previste resteranno in vigore fino al suo rinnovo.

  • CCNL Metalmeccanici (Piccola Industria): welfare

A decorrere dal 1° settembre 2021 le aziende mettono a disposizione dei lavoratori strumenti di welfare del valore di Euro 150, elevato a Euro 200 a partire dal 2022, con decorrenza dal 1° settembre di ciascuno anno e da utilizzare entro il 31 agosto di ogni anno successivo.

  • CCNL Grafici, editoriali (artigianato): “Una tantum”

Nel mese di agosto 2022, le aziende dovranno procedere con l’erogazione in favore dei propri dipendenti della seconda tranche di “una tantum” previsto per il periodo di vacanza contrattuale, pari ad Euro 100,00.

Destinatari dell’“una tantum” sono i soli lavoratori in forza alla data del 16 maggio 2022, con eventuale frazionamento in quote qualora il rapporto di lavoro non fosse già instaurato all’inizio del periodo interessato dalla vacanza contrattuale.

  • Aumento dei minimi retributivi dal 1° agosto 2022

A decorrere dal 1° agosto 2022 è previsto un aumento dei minimi retributivi tabellari dei seguenti contratti collettivi nazionali di lavoro:

  • CCNL Casse rurali ed artigiane;
  • CCNL Concerie Industria;
  • CCNL Lavanderie e Tintorie (Assosistema);
  • CCNL Pompe Funebri.

INPS: chiarimenti circa la proroga dei termini correlati alla pandemia COVID 19 per i lavoratori “fragili”

L’INPS, con il messaggio n. 2622 del 30 giugno 2022, ha fornito chiarimenti circa quanto disposto dall’articolo 10, comma 1-bis, del Decreto-legge n. 24/2022, convertito con modificazioni dalla Legge n. 52/2022.

La menzionata legge ha ulteriormente prorogato le tutele introdotte a seguito della pandemia da COVID-19 per i lavoratori c.d. “fragili” fino al 30 giugno 2022, introducendo, tuttavia, delle modifiche sostanziali in merito alle categorie di lavoratori destinatari della tutela prevista originariamente dal Decreto-legge n. 18/2020.

Riferimenti normativi

Ai fini dell’attuazione della norma, occorre far riferimento al Decreto ministeriale n. 5 del 4 febbraio 2022, emanato dal Ministero della Salute di concerto con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Ministro per la Pubblica Amministrazione.

Il decreto, denominato “Individuazione delle patologie croniche con scarso compenso clinico e con particolare connotazione di gravità, in presenza delle quali, fino al 28 febbraio 2022, la prestazione lavorativa è normalmente svolta in modalità agile”, ha, infatti, modificato l’elenco delle patologie croniche in presenza delle quali la prestazione lavorativa deve normalmente essere svolta in modalità “agile”.

Il provvedimento stabilisce, in via ordinaria, il diritto, per i lavoratori in elenco, a:

  • svolgere la prestazione in modalità “agile”, oppure;
  • essere eventualmente adibiti ad altra mansione, oppure ancora;
  • svolgere attività di formazione anche da remoto.

Solo laddove non sia possibile garantire quanto sopra, coloro che si trovano in condizione di fragilità possono fruire di periodi di assenza per malattia con equiparazione del trattamento di assenza a quello del ricovero ospedaliero.

Novità introdotte

Per quanto riguarda i soggetti interessati, la norma modifica i criteri per l’individuazione degli aventi diritto, precisando che la tutela viene riconosciuta “esclusivamente per i soggetti affetti dalle patologie e condizioni individuate dal decreto del Ministro della salute adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 2, del decreto legge 24 dicembre 2021, n. 221, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 febbraio 2002, n. 11”.

Ai fini del riconoscimento della tutela è, altresì, necessario essere in possesso di una certificazione rilasciata dai competenti organi medico legali delle Strutture territoriali attestante “una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita” oppure del “riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104”.

Conclusioni

Alla luce di quanto di quanto esposto, per il periodo dal 1° aprile al 30 giugno 2022, l’INPS procederà con il riconoscimento della tutela in oggetto, previa valutazione degli Uffici medico legali di competenza, alle sole categorie individuate ai sensi del Decreto ministeriale n. 5/2022 e nel limite di spesa di 3,7 milioni di Euro.

Agenzia delle Entrate: chiarimenti in merito alla tassazione delle somme erogate a seguito di accordo transattivo

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta ad interpello n. 344 del 23 giugno 2022, si è espressa in merito all’assoggettamento fiscale delle somme erogate nell’ambito di un accordo transattivo. Nel caso di specie, l’importo consisteva in una compensazione operata da un datore di lavoro per sanare un annoso contenzioso con diversi dipendenti. A fronte di tale erogazione, riferita a spettanze dovute per gli anni 2010, 2011 e 2012, il datore di lavoro ha ritenuto che il regime di assoggettamento fiscale applicabile fosse quello della tassazione separata e ne ha chiesto conferma all’Agenzia delle Entrate.

La transazione e i suoi effetti

Nella sua risposta, l’autorità fiscale ha dapprima fornito la definizione civilistica dell’istituto della transazione, intesa come “il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro. Con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti” (cfr. art. 1965 c.c.).

In linea con quanto chiarito dal Ministero delle Finanze nella circolare n. 326/1997, l’Agenzia delle Entrate ha poi precisato che “tutte le indennità e le somme o i valori percepiti in sostituzione di redditi di lavoro dipendente, comprese quelle che derivano da transazioni di qualunque tipo, sono assoggettabili a tassazione come redditi di lavoro dipendente”.

Il reddito di lavoro dipendente

Nella risposta all’interpello, sono seguite le opportune considerazioni circa la natura “onnicomprensiva” del reddito di lavoro dipendente, consistente nella “totale imponibilità di tutto ciò che il lavoratore riceve in relazione al rapporto di lavoro”. Sul punto è stato citato l’articolo 49, comma 1, del TUIR secondo il quale:

  • sono redditi di lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri, compreso il lavoro a domicilio quando è considerato lavoro dipendente secondo le norme della legislazione sul lavoro” e
  • il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d’imposta successivo a quello cui si riferiscono” (art. 51, comma 1, del TUIR).

Tassazione separata e ambito di applicazione

La medesima circolare del Ministero delle Finanze è stata richiamata anche con riguardo al campo di applicazione della tassazione separata: nella circolare è stato, infatti, chiarito che “le somme e i valori comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria o di transazioni relativi alla risoluzione del rapporto di lavoro sono sempre assoggettati a tassazione separata”, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera a), ultima parte, del TUIR.

È stato, altresì, evidenziato che il regime della tassazione separata – qualora le somme sostitutive di reddito di lavoro dipendente si riferiscano a redditi che avrebbero dovuto essere percepiti in un determinato periodo d’imposta e, in loro sostituzione, vengono percepite in un periodo d’imposta successivo – si applica ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera b), del TUIR, in presenza di “emolumenti arretrati per prestazioni di lavoro dipendente riferibili ad anni precedenti, percepiti per effetto di leggi, di contratti collettivi, di sentenze o di atti amministrativi sopravvenuti o per altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti”.

Come chiarito nel citato documento di prassi, le somme e i valori percepiti a seguito di transazioni, diverse da quelle relative alla cessazione del rapporto di lavoro, allorquando non è rinvenibile alcuna delle condizioni di cui all’articolo 17, comma 1, lettere b), sono soggetti a tassazione ordinaria.

Alla luce del descritto quadro normativo e di prassi, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che le somme corrisposte dall’istante a seguito dell’accordo transattivo debbano concorrere alla formazione del reddito imponibile dei dipendenti per l’intero ammontare ed essere assoggettate a tassazione ordinaria. Ciò in quanto le stesse non vengono erogate in relazione alla cessazione del rapporto di lavoro, né ricorre una delle condizioni di cui all’articolo 17, comma 1, lettera b), del TUIR.

Sicurezza sul lavoro: le funzioni di datore di lavoro e di RSPP non possono essere confuse (Andrea Di Nino, Sintesi – Ordine dei Consulenti del Lavoro, giugno 2022)

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16562 del 29 aprile 2022, si è espressa in merito alle responsabilità del datore di lavoro in merito agli obblighi di valutazione del rischio e di formazione dei lavoratori sotto il profilo della sicurezza sul lavoro.

In particolare, la vicenda trae origine dalla condanna – confermata in sede di appello – alla pena di un anno di reclusione per un datore di lavoro privato a causa del delitto di “omicidio colposo aggravato”, dovuto alla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni in ambito lavorativo. A detta della corte territoriale, tali violazioni avevano cagionato la morte di un operaio, incaricato di effettuare la manutenzione e la pulizia di un particolare macchinario.

Nell’impugnare la sentenza di secondo grado, l’imputato ha presentato una serie di motivi di ricorso. Nel dettaglio, questi ha contestato la qualifica di “datore di lavoro” assegnatagli nelle sentenze, adducendo di avere attribuiti compiti meramente amministrativi (“ordinaria amministrazione”) da parte del C.d.A. dell’azienda.

Inoltre, l’imputato riteneva di aver delegato le funzioni attinenti all’ambito della sicurezza sul lavoro ad un terzo, e di non dover rispondere del mancato aggiornamento del documento di valutazione dei rischi (“DVR”), considerata l’assenza della qualifica di datore di lavoro.

Tanto rappresentato da parte della persona imputata, i giudici della Corte di Cassazione hanno comunque individuato in questa la figura del datore di lavoro, considerato il suo ruolo di legale rappresentante della società e le sue prerogative in merito all’esercizio dei poteri decisionali e di spesa. In dettaglio, è stata rigettata la tesi dell’imputato vertente sull’esclusione delle responsabilità in merito alla sicurezza dei lavoratori, dovuta ai compiti di mera natura ordinaria formalmente assegnati allo stesso. Secondo la Corte, infatti, le attribuzioni dell’imputato erano tali da garantirgli l’esercizio di “potestà funzionali organizzative, decisionali, gestionali e di spesa inclusa la realizzazione delle misure di sicurezza previste per legge”, così da “costituire in capo al medesimo soggetto un coacervo di tutti gli obblighi che convergono in materia di valutazione del rischio, di posizione di garanzia, di adempimenti datoriali”.

La confusione tra il ruolo di datore di lavoro e di “responsabile del servizio di prevenzione e di protezione” (“RSPP”) ha inoltre deposto per “una colpevole opacità e disfunzione organizzativa”, a dire della Suprema Corte, che ha aggravato la posizione dell’imputato.

I poteri de facto esercitati dall’imputato, viene altresì osservato, “sebbene formalmente limitati all’ordinaria amministrazione, comunque comprendevano ogni profilo gestorio e organizzativo sulla produzione, sul controllo degli impianti, sulle procedure lavorative, sulla formazione e informazione che in concreto hanno svolto un determinante ruolo causale dell’evento mortale”.

Da tale piena qualifica datoriale, emerge conseguentemente la responsabilità per gli altri due obblighi contestati sul piano della colpa specifica e della causalità materiale.

In primo luogo, a dire della Suprema Corte, l’omessa completa ed esauriente valutazione del rischio connesso all’impianto presso il quale operava la vittima è attività che “sul piano operativo, cognitivo, progettuale”, rientrava pienamente nei compiti dell’imputato. Ciò sia innanzitutto come soggetto titolare del servizio di prevenzione e protezione, ruolo interpretato in termini meramente formali, e. contemporaneamente. come soggetto apicale con poteri decisionali e organizzativi su tutta l’attività produttiva.

Sul punto, i giudici hanno osservato che “l’imputato avrebbe dovuto in particolare valutare rischi e misure di prevenzione sull’uso del macchinario dove ha trovato la morte (omissis), in relazione specifica alle mansioni e ai compiti attribuiti alla vittima dallo stesso imputato”.

Nella sua qualità di titolare del ruolo datoriale, l’imputato avrebbe dovuto inoltre tenere aggiornato il DVR anche con la mansione cui era addetto il lavoratore infortunato in relazione all’uso del macchinario che lo ha travolto.

Sul punto, la Corte ha osservato che “è proprio dalla duplice qualifica di responsabile del servizio di prevenzione e protezione e di datore di lavoro che emerge comunque il compito in capo alla medesima persona di valutare, elaborare, prevenire e gestire il rischio, ivi compreso l’aggiornamento del documento di valutazione del rischio che peraltro è compito indelegabile del datore di lavoro”.

In conclusione, secondo i giudici della Cassazione, alla qualifica di datore di lavoro corrisponde “l’obbligo di formazione e informazione dei lavoratori” che, nel caso in esame, risulta omesso da parte dell’imputato. Anche su questo punto ascrivere ad altro soggetto il dovere di informazione, formazione ed addestramento del lavoratore deceduto, costituisce “una mera asserzione che non trova riscontro in alcun atto formale di delega o comunque di incarico specifico alla formazione”.

Anche a voler ritenere di avere sostanzialmente incaricato altri di adempiere all’obbligo di formare e addestrare il lavoratore deceduto, la Suprema Corte ha evidenziato che “l’omessa cura dell’addestramento e dell’istruzione professionale del lavoratore avrebbe potuta e dovuta essere controllata e corretta dall’imputato qualora altri soggetti eventualmente incaricati non vi avessero utilmente provveduto”.

I motivi di ricorso dell’imputato venivano dunque integralmente respinti, acclarata la mancanza dell’esercizio del ruolo di vigilanza, di controllo e di cura dell’istruzione professionale sull’uso della macchina e degli impianti correlati in relazione ai rischi del caso di specie.

Luglio 2022: NOVITA’ E RINNOVI CCNL

  • CCNL Agenzie di viaggio e turismo (Confcommercio): premio di risultato

Alla luce delle proroghe intervenute ad opera della contrattazione collettiva e fatti salvi gli accordi di miglior favore sottoscritti in materia, in mancanza di un accordo sul premio di risultato entro maggio 2022, i datori di lavoro sono tenuti ad erogare nel mese di luglio 2022 i seguenti importi:

  • Livelli A e B: 186 Euro;
  • Livelli 1, 2 e 3: 158 Euro;
  • Livelli 4 e 5: 140 Euro;
  • Livelli 6S, 6 e 7: 112 Euro.
  • CCNL Cemento, calce (Industria): maternità e previdenza complementare

In occasione del congedo parentale, a far data dal 1° luglio 2022, è riconosciuto ai lavoratori un trattamento di assistenza aggiuntivo a quello previsto dalla legge, così modulato:

  • per la lavoratrice madre, una integrazione fino al raggiungimento del 50% della retribuzione globale di fatto, per i primi cinque mesi di congedo;
  • per il lavoratore padre, una integrazione fino al raggiungimento del 70% della retribuzione globale di fatto, per i primi cinque mesi di congedo;
  • per il lavoratore/lavoratrice mono genitore, un ulteriore periodo retribuito di due mesi, da usufruire entro l’ottavo anno di vita del bambino. Nei casi di adozione, sempre con riferimento al lavoratore/lavoratrice mono genitore, il periodo retribuito di due mesi di cui al presente punto, potrà essere usufruito entro otto anni dalla data di accoglimento del bambino.

Dalla medesima data, l’aliquota contributiva a carico dell’azienda da versare a titolo di previdenza complementare è incrementata in ragione dello 0,10% della retribuzione utile per il calcolo del T.F.R. e, pertanto, sarà pari al 2,30% di detta retribuzione. L’aliquota contributiva a carico del lavoratore rimane fissata all’1,40% della retribuzione utile per il calcolo del T.F.R.

  • CCNL Enti previdenziali privatizzati: indennità di vacanza contrattuale

In virtù della vacanza contrattuale successiva al triennio di validità del CCNL (1° gennaio 2019 – 31 dicembre 2021), dal mese di luglio 2022 sarà dovuto ai lavoratori dipendenti un elemento provvisorio della retribuzione pari al 50% dell’indice “IPCA” applicato ai minimi contrattuali vigenti, inclusa l’ex indennità integrativa speciale.

Dalla data di decorrenza del rinnovo contrattuale l’indennità cesserà di essere erogata e sarà assorbita con gli eventuali aumenti contrattuali per il periodo della vacanza del contratto.

  • CCNL Poste italiane: mensa

A decorrere dal mese di luglio 2022, ai dipendenti che effettuano una prestazione lavorativa superiore a 7 ore giornaliere, con un intervallo di almeno 30 minuti collocato nella fascia oraria dalle 12.00 alle 15.00, deve essere riconosciuto un buono pasto del valore di 5,42 Euro (rispetto ai precedenti 5 Euro), da fruirsi nel corso del previsto intervallo, per ogni giorno di effettivo servizio.

  • CCNL Metalmeccanici (Piccola industria – Confimi): contributi contrattuali

Entro il 20 luglio 2022 i datori di lavoro dovranno versare il contributo mensile obbligatorio per l’attività di rappresentanza contrattuale imprenditoriale (Euro 0,50 per ciascun dipendente in forza) riferito al secondo trimestre del 2022.

  • CCNL Abbigliamento (Industria) e CCNL Tessili (Industria): contributi contrattuali

Entro il 31 luglio 2022, i datori di lavoro dovranno versare le trattenute operate a titolo di contributo contrattuale conformemente alle istruzioni del CCNL, a mezzo di bonifico bancario ordinario, specificando la denominazione dell’azienda versante ed il luogo in cui essa svolge la sua attività.

Il versamento consiste nei 40 Euro di contributo trattenuto nella busta paga di maggio 2022 da parte dell’azienda nei confronti dei lavoratori che non abbiano manifestato il proprio diniego.

  • Aumento dei minimi retributivi dal 1° luglio 2022

A decorrere dal 1° luglio 2022 è previsto un aumento dei minimi retributivi tabellari dei seguenti contratti collettivi nazionali di lavoro:

  • CCNL Aeroporti (Trasporto aereo);
  • CCNL Agricoltura (Contoterzismo);
  • CCNL Alimentari (Artigianato);
  • CCNL Autoferrotranvieri (Mobilità);
  • CCNL Ceramica, chimica (Piccola industria);
  • CCNL Cinema (Generici produzione);
  • CCNL Imprese portuali;
  • CCNL Laterizi (Industria);
  • CCNL Marittimi;
  • CCNL Panificatori (Artigianato);
  • CCNL Penne, matite e spazzole (Industria);
  • CCNL Poste italiane;
  • CCNL Pulizia;
  • CCNL Tessili (Piccola industria – Confartigianato);
  • CCNL Agenzie marittime raccomandatarie.
  • “Una tantum”

Nel mese di luglio 2022 è prevista l’erogazione di importi a titolo di “una tantum” ai sensi dei seguenti contratti collettivi nazionali di lavoro:

  • CCNL Autoferrotranvieri (Mobilità);
  • CCNL Lapidei (Artigianato);
  • CCNL Legno e arredamento (Artigianato);
  • CCNL Metalmeccanici (Artigianato);
  • CCNL Odontotecnici;
  • CCNL Orafi e argentieri (Artigianato).

Reddito da lavoro dipendente e rimborso spese per l’acquisto di laptop/tablet e test di ingresso ad istituti scolastici: i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta ad interpello n. 294 del 24 maggio 2022, ha fornito chiarimenti circa la possibilità per i datore di lavoro di rimborsare ai dipendenti appartenenti alla categoria dei “transferred employees” le spese sostenute per l’acquisto di laptop/tablet e per i test d’ingresso sostenuti dai propri figli per frequentare in Italia gli istituti scolastici. Particolare attenzione, nella risposta all’interpello, ha assunto la rilevanza di detto rimborso alla formazione del reddito ai sensi dell’articolo 51, comma 2, lettera f-bis, del D.P.R 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi o “TUIR”).

Normativa di riferimento

L’art. 51, comma 1, del TUIR sancisce il c.d. principio di onnicomprensività, secondo il quale costituiscono reddito di lavoro dipendente “tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”.

Pertanto, sia gli emolumenti in denaro che i valori corrispondenti ai beni, ai servizi ed alle opere offerti dal datore di lavoro ai propri dipendenti in generale, sono considerati redditi imponibili e, pertanto, utili ai fini della determinazione del reddito di lavoro dipendente.

Tuttavia, il medesimo articolo 51, ai commi successivi, individua le componenti reddituali che derogano al principio di onnicomprensività e non concorrono a formare la base imponibile del reddito da lavoro dipendente o ne concorrono in parte. Il comma 2 prevede che non concorrono, tra le altre, a formare il reddito di lavoro dipendente:

  • l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari indicati nell’articolo 12 per le finalità di cui al comma 1 dell’articolo 100” (articolo 51, comma 2, lettera f), del TUIR);
  • le somme, i servizi e le prestazioni erogati dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la fruizione, da parte dei familiari indicati nell’articolo 12, dei servizi di educazione e istruzione anche in età prescolare, compresi i servizi integrativi e di mensa ad essi connessi, nonché per la frequenza di ludoteche e di centri estivi e invernali e per borse di studio a favore dei medesimi familiari” (articolo 51, comma 2, lettera f-bis), del TUIR).

In virtù di quanto esposto e di quanto già chiarito dalla stessa autorità fiscale nella risoluzione del 27 maggio 2021, n. 37/E, viene precisato che la normativa conferma la possibilità per il datore di lavoro di erogare servizi di educazione ed istruzione, direttamente o tramite terzi, nonché di corrispondere ai dipendenti somme di denaro da destinare alle finalità indicate, anche a titolo di rimborso di spese già sostenute a favore dei familiari di cui all’articolo 12 del TUIR.

Condizioni per l’erogazione

Affinché le somme e i valori in questione risultino, in tutto o in parte, detassati, è necessario che l’offerta sia rivolta alla “generalità dei dipendenti” o a “categorie di dipendenti”.

Con la formulazione “categorie di dipendenti” si vuol fare riferimento alla generica disponibilità di opere, servizi o somme verso un gruppo omogeneo di dipendenti, anche qualora alcuni di questi non ne fruiscano di fatto.

L’Agenzia, inoltre, ha tenuto a precisare che l’espressione “categorie di dipendenti” non è diretta a delineare meramente le categorie previste dal codice civile (dirigenti, operai, etc.). La formulazione vuole rifarsi a tutti i dipendenti di un “determinato gruppo”, come, ad esempio, tutti i dipendenti di un certo livello o di una certa qualifica, tutti i dipendenti trasferiti all’estero ovvero tutti gli operai del turno di notte.

È stato più volte precisato che la conditio sine qua non per l’esclusione di questi benefit dalla formazione del reddito è che gli stessi non debbano essere destinati al singolo lavoratore e/o riconosciuti ad personam (vedasi circolari 23 dicembre 1997, n. 326 e 15 giugno 2016, n. 28/E dell’Agenzia delle Entrate).

Con specifico riferimento alla fattispecie in esame, l’Agenzia delle Entrate ricorda:

  • la risoluzione del 27 maggio 2021, n. 37/E, dove è stato chiarito che non concorre al reddito di lavoro dipendente il rimborso riconosciuto al dipendente per le spese sostenute (i) per l’acquisto del pc, laptop e tablet quali strumenti necessari, previsti dai regolamenti di istituto, (ii) per la fruizione dei servizi di educazione e istruzione, ovvero (iii) per garantire la frequenza nella cd. “classe virtuale”, e
  • la risoluzione del 17 dicembre 2007, n, 378/E, dove sono stati considerati come raggruppamento omogeneo di dipendenti i soggetti cosiddetti “expatriates” o “assignees”, ovvero dipendenti trasferiti in stati esteri, analogamente i “transferred employees“ possono considerarsi una “categoria di dipendenti”.

Conclusioni In ragione di quanto esposto, secondo l’Agenzia delle Entrate non costituisce reddito di lavoro dipendente il rimborso da parte del datore di lavoro delle spese sostenute dai dipendenti che rientrano nella categoria dei “transferred employees“, per l’acquisto di laptot/tablet. E, sempre secondo l’Agenzia, non genera reddito di lavoro dipendente il rimborso dell’eventuale costo d’iscrizione sostenuto per l’effettuazione da parte dei figli del test d’ingresso vincolante per l’iscrizione ad istituti scolastici. Ciò in quanto detto rimborso può rientrare nelle spese sostenute per la frequenza scolastica dei figli.

“APE Sociale 2022”: i primi chiarimenti dell’INPS

L’INPS, con la circolare n. 62 del 25 maggio 2022, ha fornito chiarimenti circa le modifiche introdotte dalla Legge di Bilancio 2022 e le nuove disposizioni in materia di APE Sociale.

In particolare, la circolare (i) elenca le categorie di professioni rientranti nei lavori gravosi e i lavoratori che possono accedere al beneficio con il requisito contributivo ridotto a trentadue anni, (ii) illustra i nuovi modelli di domanda e i relativi moduli per le attestazioni dei datori di lavoro, (iii) descrive i regimi di compatibilità dell’APE Sociale con le varie forme di sostegno al reddito e (iv) fornisce chiarimenti sulla riconoscimento dell’APE Sociale in caso di cessazione per “mancato superamento del periodo di prova” e “cessazione dell’attività aziendale”.

APE Sociale

L’APE Sociale è un sussidio economico introdotto dalla legge di bilancio 2017 ed erogato dall’INPS a soggetti meritevoli di una particolare tutela che abbiano compiuto almeno 63 anni di età, unitamente ad un preciso requisito contributivo, e non risultino già titolari di pensione diretta in Italia o all’estero. La corresponsione dell’indennità si protrae sino a quando il beneficiario non raggiunge l’età per accedere alla pensione di vecchiaia o a un trattamento pensionistico conseguito in anticipo.

Le novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2022

Tra le novità più significative introdotte dalla Legge di Bilancio 2022, si evidenzia in primis la proroga della validità dell’APE Sociale fino al 31 dicembre 2022. Ciò garantisce a coloro che avevano perfezionato i requisiti negli anni precedenti e non hanno presentato la relativa domanda di verifica, nonché ai soggetti decaduti dal beneficio, di ripresentare la domanda. Inoltre, i lavoratori che si trovano in stato di disoccupazione potranno presentare domanda di accesso al beneficio senza dovere attendere, ove non ancora perfezionato, il decorso di almeno tre mesi dal momento in cui è terminata l’integrale fruizione della prestazione di disoccupazione spettante.

La Legge di Bilancio 2022 – oltre a rivedere ed integrare l’elenco delle professioni rientranti nella categoria dei lavori c.d. “gravosi” che possono presentare domanda di verifica di accesso all’APE Sociale – ha ridotto a 32 anni il requisito dell’anzianità contributiva per accedere ad esso per le seguenti categorie di lavoratori; (i) gli operai edili con contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti delle imprese edili e affini (ii) i ceramisti e (iii) i conduttori di impianti per la formatura di articoli in ceramica e terracotta

In linea con i chiarimenti della giurisprudenza secondo cui il recesso del datore di lavoro durante o all’esito del periodo di prova deve ritenersi equiparato ad un licenziamento individuale, viene chiarito che anche ai soggetti licenziati per “mancato superamento del periodo di prova” così come ai disoccupati a causa della cessazione dell’attività aziendale deve essere garantito l’accesso all’APE Sociale, stante gli altri requisiti di legge.

Compatibilità dell’APE Sociale con altre misure di sostegno al reddito

La Legge di Bilancio si è espressa circa l’incompatibilità di detto sussidio con i trattamenti pensionistici diretti, nonché con i trattamenti a sostegno del reddito connessi allo stato di disoccupazione involontaria e con l’indennizzo previsto per la cessazione dell’attività commerciale. Nulla viene disposto, invece, circa la sua compatibilità con altri istituti quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, il Reddito di Cittadinanza (RdC) ed il Reddito di Emergenza (Rem). Sul punto è intervenuto l’INPS con circolare in esame.

L’INPS, poiché il decreto-legge n. 4/2019 (istitutivo del RdC) non prevede alcuna forma di incompatibilità o incumulabilità (totale o parziale) con l’APE Sociale, conferma la sua compatibilità con la percezione dell’RdC, pur concorrendo il relativo importo alla formazione del valore ISEE assunto come base per la concessione dell’RdC stesso e per la sua determinazione.

Diversamente l’INPS si esprime sul Rem che non può essere riconosciuto al titolare di APE sociale in quanto la sua percezione fa venir meno il presupposto del medesimo, ossia la situazione di difficoltà economica e la necessità di mezzi di sostentamento per sé e per il proprio nucleo familiare.

Licenziamento collettivo: la mancata comunicazione dei criteri di scelta provoca l’applicazione della tutela reintegratoria (Andrea Di Nino, Sintesi – Ordine dei Consulenti del Lavoro, maggio 2022)

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9800 del 25 marzo 2022, si è espressa in merito al regime sanzionatorio applicabile in caso di omessa o incompleta comunicazione dei criteri di scelta nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo.

In particolare, la vicenda ha visto la Corte d’appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarare illegittimo il licenziamento collettivo intimato da un datore di lavoro, determinando come risolto il rapporto di lavoro intercorso con i lavoratori. Il datore di lavoro, a seguito dei fatti, veniva condannato al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto in favore dei lavoratori coinvolti.

Difatti, la corte territoriale ha ritenuto che il licenziamento intimato ex legge n. 223/1991 risultasse affetto da una “mera violazione di carattere formale”, consistente nella mancata indicazione dei concreti punteggi attribuiti a ciascuno e dei dati fattuali relativi ai carichi di famiglia nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 9, legge n. 223/1991 diretta ai lavoratori, con riferimento all’indicazione dei tre criteri di scelta, dei punteggi astratti previsti in relazione a ciascun criterio e dei dati relativi all’anzianità di servizio di ciascun lavoratore.

I lavoratori coinvolti, considerata la sentenza di secondo grado, presentavano ricorso in Cassazione attraverso una serie di motivi. In particolare, i lavoratori ravvisavano che la corte territoriale avesse valutato erroneamente le carenze della comunicazione finale a loro indirizzata, ex art. 4, comma 9, integrando “non una mera irregolarità formale bensì la violazione dei criteri di scelta, mancando la puntuale indicazione delle modalità di applicazione dei criteri idonea a consentire la valutazione comparativa delle posizioni dei dipendenti e, pertanto, la verifica della corretta applicazione dei suddetti criteri”.

Nell’accogliere tale motivo di ricorso, la Corte di Cassazione osservava come fosse stato più volte affermato che la disciplina della legge n. 223/1991 in materia di licenziamenti collettivi per riduzione di personale rappresenti una “garanzia, di natura essenzialmente procedimentale, destinata ad operare su un duplice piano di tutela – delle prerogative sindacali e delle garanzie individuali – assolvendo alla funzione di porre le associazioni sindacali in condizioni di contrattare i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere ma altresì di assicurare al lavoratore, potenzialmente interessato al licenziamento, la previa individuazione dei criteri di scelta e la verificabilità dell’esercizio del potere privato del datore di lavoro” (Cass. n. 19618 del 2011; Cass. n. 15694 del 2009).

In particolare, la comunicazione in argomento ha la funzione di indicare “puntualmente” le modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare e, coerentemente, risulta finalizzata a consentire ai lavoratori coinvolti, alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi di controllare la correttezza dell’operazione e la rispondenza agli accordi raggiunti.

La Suprema Corte osserva, infatti, come tale comunicazione “cristallizzi” le ragioni del recesso, non consentendo al datore di lavoro di dedurre in giudizio, successivamente, l’applicazione di modalità della scelta diverse da quelle risultanti dalla stessa.

A tale fine, quindi, l’esigenza di consentire il controllo – sia contestuale che successivo – impone che non solo i criteri, ma anche i presupposti fattuali sulla base dei quali gli stessi sono stati applicati, risultino ricavabili dalla comunicazione.

Nel caso di specie, i giudici della Cassazione hanno ritenuto che la generica indicazione dei criteri dei lavoratori da licenziare abbia “impedito ogni verifica di coerenza tra i detti criteri e la concreta applicazione degli stessi, non offrendo alcun parametro comparativo, rispetto alla posizione di altri lavoratori, idoneo ad escludere la sussistenza di ingiustificati trattamenti più favorevoli, come, invece, sostenuto dalla società”.

Sotto il profilo sanzionatorio, l’orientamento della Corte ha sempre distinto il “caso di violazione delle procedure richiamate all’art. 4, comma 12”, per il quale opera la tutela meramente indennitaria, dal “caso di violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1”, per il quale si applica la tutela reintegratoria. Tanto premesso, mentre la non corrispondenza della comunicazione al modello della legge n. 223/1991 costituisce una mera violazione delle procedure, il diverso caso di “violazione dei criteri di scelta” si ha quando questi siano, ad esempio, illegittimi perché in violazione di legge o illegittimamente applicati, o ancora perché attuati in difformità dalle previsioni legali o collettive.

Nel caso di specie, la lacunosità della comunicazione inviata ai lavoratori si è, dunque, tradotta in un’illegittima applicazione dei criteri di scelta, in assenza di un livello di adeguatezza idoneo a mettere in grado il singolo lavoratore di comprendere per quale ragione lui, e non altri colleghi, fosse stato licenziato e quindi di poter contestare il recesso datoriale.

La Corte di Cassazione disponeva dunque l’annullamento del licenziamento, con condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro dei lavoratori e al pagamento di un’indennità risarcitoria in misura non superiore alle dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Giugno 2022: NOVITA’ E RINNOVI CCNL

  • CCNL Agenzie di assicurazione (SNA): premio di produzione

Nel mese di giugno deve essere corrisposto il premio di produzione relativo all’anno 2021, verificate le condizioni per la corresponsione previste dal CCNL.

  • CCNL Autostrade e trafori (Concessionari): previdenza complementare

A decorrere dal mese di giugno 2022, la quota di contribuzione alla previdenza complementare prevista dal CCNL (Fondo Astri) è incrementata di un ulteriore 0,5%.

  • CCNL Calzaturieri (Piccola industria) / CCNL Penne, matite e spazzole (Piccola industria) / CCNL Pelli e cuoio (Piccola industria) / CCNL Tessili (piccola industria)/ CCNL Giocattoli, modellismo (Piccola industria)7 CCNL Occhiali (Piccola industria): elemento di garanzia retributiva

Nel mese di giugno deve essere erogato l‘elemento di garanzia retributiva (E.G.R.) di ammontare pari ad Euro 240. L’importo dell’E.G.R. – da intendersi omnicomprensivo di ogni incidenza su tutti gli istituti legali e contrattuali, compreso il TFR – è corrisposto interamente ai lavoratori in forza dal 1° gennaio al 31 dicembre di ogni anno precedente l’erogazione e proporzionalmente ridotto in dodicesimi per gli altri lavoratori, considerando come mese intero la frazione di mese superiore a 15 giorni. È riproporzionato per i lavoratori a tempo parziale in base al minor orario contrattuale.

  • CCNL Cemento, calce (Industria): elemento di garanzia retributiva

Con le competenze del mese di giugno 2022 è riconosciuto un importo annuo di 170 Euro lordi ai dipendenti a tempo indeterminato delle aziende prive di riconoscimenti economici derivanti da contrattazione di secondo livello, a livello di gruppo aziendale o di unità produttiva. Resta inteso che i beneficiari nel corso del 2021 non devono aver percepito altri trattamenti economici collettivi, comunque, soggetti a contribuzione oltre a quanto spettante dal CCNL.

  • CCNL Ceramica (Industria): elemento di garanzia retributiva

Con le competenze del mese di giugno 2022 ai lavoratori a tempo indeterminato:

  1. in forza al 1° gennaio di ogni anno nelle aziende che non abbiano mai fatto contrattazione aziendale o alternativamente territoriale e
  2. che nei precedenti quattro anni non abbiamo ricevuto nessun altro trattamento economico individuale o collettivo in aggiunta a quanto spettante a norma di CCNL

è riconosciuta con le competenze del mese di giugno dell’anno successivo un importo di Euro 100,00 lordi, ovvero una cifra inferiore fino a concorrenza in caso di presenza di un trattamento aggiuntivo a quello fissato dal CCNL.

  • CCNL Lapidei (Industria): elemento di garanzia retributiva

L’elemento di garanzia retributiva di 190 Euro lordi annui deve essere erogato in unica soluzione con le competenze del mese di giugno ed è corrisposto pro-quota con riferimento a tanti dodicesimi quanti sono stati i mesi di servizio prestati dal lavoratore, anche in modo non consecutivo, nell’anno precedente.

  • CCNL Enti previdenziali privatizzati: elemento distinto della retribuzione

Nel mese di giugno deve essere corrisposto ai lavoratori l’elemento distinto della retribuzione (“E.D.R.”) pari all’8% della retribuzione tabellare annua vigente, a condizione che si sia già proceduto alla ridefinizione dei trattamenti integrativi aziendali in essere al 1° gennaio 2019.

L’E.D.R. viene erogato su base annua, matura da gennaio a dicembre di ogni anno e spetta in proporzione alla durata ed alla tipologia di rapporto di lavoro in essere.

  • CCNL Esattorie e tesorerie: premio annuale

Con le competenze del mese di giugno i datori di lavoro devono erogare il premio annuale ai dipendenti in forza al 1° gennaio 2022, nella misura determinata dal CCNL, parametrato per ciascun livello.

  • CCNL Metalmeccanici (Industria): elemento di garanzia retributiva e previdenza complementare

Ai lavoratori in forza al 1° gennaio di ogni anno – nelle aziende prive di contrattazione di secondo livello riguardante il premio di risultato o altri istituti retributivi comunque soggetti a contribuzione e che nel corso dell’anno precedente abbiano percepito un trattamento retributivo composto esclusivamente da importi retributivi fissati dal CCNL – è corrisposta a titolo perequativo, con la retribuzione del mese di giugno, una cifra annua pari a Euro 485, onnicomprensiva e non incidente sul TFR, ovvero una cifra inferiore fino a concorrenza in caso di presenza di retribuzioni aggiuntive a quelle fissate dal CCNL, in funzione della durata, anche non consecutiva, del rapporto di lavoro nel corso dell’anno precedente.

A decorrere dal 1° giugno 2022, inoltre, con riferimento ai lavoratori di nuova adesione al fondo Cometa e con età inferiore ai 35 anni compiuti, la contribuzione a carico del datore di lavoro è pari al 2,2% dei minimi contrattuali.

  • CCNL Metalmeccanici industria (Conflavoro): elemento di garanzia retributiva e welfare

Le imprese prive di contrattazione aziendale dovranno corrispondere ai dipendenti in forza al 1° gennaio di ogni anno un importo pari ad euro 485,00 unitamente alla retribuzione del mese di giugno. Tale importo sarà proporzionalmente ridotto in caso di contratto part-time ed in base ai mesi di anzianità di ogni lavoratore nell’anno precedente. I dipendenti che abbiano comunque percepito a qualsiasi titolo importi aggiuntivi rispetto ai minimi contrattuali riceveranno la somma suddetta fino a concorrenza.

Inoltre, al 1° giugno di ogni anno, i datori di lavoro sono tenuti a mettere a disposizione dei lavoratori che abbiano superato il periodo di prova strumenti di welfare per un importo annuo pari ad Euro 200,00 da utilizzare entro il 31 maggio dell’anno successivo. Tale importo verrà proporzionalmente ridotto in caso di contratto part-time ed in base ai mesi di anzianità di ogni lavoratore nel periodo intercorrente dal 1° giugno dell’anno precedente al 31 maggio dell’anno in corso.

I lavoratori avranno la possibilità di destinare l’importo suddetto al Fondo di Previdenza Complementare Intersettoriale.

  • CCNL Giocattoli, modellismo (Industria): previdenza complementare

A decorrere dal mese di giugno 2022, il contributo paritetico a carico di azienda e lavoratori pari all’1,5% viene elevato di 0,30 punti percentuali.

  • CCNL Orafi e argentieri (Industria): classificazione del personale, elemento di garanzia retributiva, welfare

A far data dal 1° giugno 2022 è eliminata la prima categoria professionale. I lavoratori in forza al 31 maggio 2022 inquadrati in prima categoria saranno riclassificati alla seconda categoria dal 1° giugno 2022, inclusi gli apprendisti.

I lavoratori coinvolti conservano, a tutti gli effetti di legge e contratto, l’anzianità di servizio maturata nel precedente livello. Il passaggio al secondo livello non comporta necessariamente un mutamento delle mansioni di provenienza.

Con la retribuzione del mese di giugno 2022, inoltre, i datori di lavoro sono tenuti a corrispondere una cifra lorda pari ad Euro 250,00, onnicomprensiva e non incidente sul TFR ovvero una cifra inferiore fino a concorrenza in caso di presenza di retribuzioni aggiuntive a quelle fissate dal CCNL, in funzione della durata, anche non consecutiva, del rapporto di lavoro nel corso dell’anno precedente. La frazione di mese superiore a 15 giorni sarà considerata, a questi effetti, come mese intero.

La disposizione trova applicazione nelle aziende prive di contrattazione di secondo livello riguardante il premio di risultato o altri istituti retributivi, comunque, soggetti a contribuzione e che nel corso dell’anno precedente (1 gennaio – 31 dicembre) abbiano percepito un trattamento retributivo composto esclusivamente da importi retributivi fissati dal CCNL (lavoratori privi di superminimi collettivi o individuali, premi annui o altri importi retributivi comunque soggetti a contribuzione).

Infine, entro il mese di giugno 2022, le aziende dovranno mettere a disposizione dei lavoratori strumenti di welfare, elencati in via esemplificativa in calce al presente articolo, del valore di 200,00 Euro da utilizzare entro il 31 maggio 2023. 

  • CCNL Pompe funebri (ASNAF): elemento di garanzia retributiva

Le imprese che non hanno definito accordi per la contrattazione di secondo livello con le OO. SS. firmatarie del CCNL e, fatti salvi accordi di miglior favore, corrispondono ai lavoratori in servizio al 1° gennaio di ogni anno, quale il premio di risultato o altri istituti retributivi comunque soggetti a contribuzione, con la retribuzione del mese di giugno una mensilità aggiuntiva pari a:

  • Euro 1.000 per la categoria A;
  • Euro 1.200 per la categoria B;
  • Euro 1.400 per la categoria C;
  • Euro 1.600 per la categoria D;
  • Euro 1.800 per la categoria E-F.
  • Aumento dei minimi retributivi dal 1° giugno 2022

A decorrere dal 1° giugno 2022 è previsto un aumento dei minimi retributivi tabellari dei seguenti contratti collettivi nazionali di lavoro:

  • CCNL Alimentari (Piccola industria);
  • CCNL Allevatori e consorzi zootecnici;
  • CCNL Cartai (Piccola industria);
  • CCNL Chimici farmaceutici (Industria);
  • CCNL Elettrici;
  • CCNL Gas e acqua;
  • CCNL Giocattoli, modellismo (Industria);
  • CCNL Grafici editoriali (Piccola industria);
  • CCNL Metalmeccanici (Cooperative);
  • CCNL Metalmeccanici (Industria);
  • CCNL Metalmeccanici (Piccola industria – CONFAPI);
  • CCNL Orafi e argentieri (Industria);
  • CCNL Studi dei revisori legali e tributaristi;
  • CCNL Vetro.
  • “Una tantum”

Nel mese di giugno 2022 è prevista l’erogazione di importi a titolo di “una tantum” ai sensi dei seguenti contratti collettivi nazionali di lavoro:

  • CCNL Attività ferroviarie;
  • CCNL Ferrovie dello Stato;
  • CCNL Grafici, editoriali (Industria).

INL: chiarimenti sull’ambito di applicazione della “maxi-sanzione” per lavoro sommerso

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (l’”INL”), con la nota n. 856 del 19 aprile 2022, ha diramato un vademecum attinente all’ambito di applicazione della “maxi-sanzione” per lavoro sommerso, regolata dall’articolo 3 del Decreto-legge n. 12/2002, convertito con modificazioni dalla Legge n. 73/2002. Con tale fattispecie si intende l’impiego, da parte di un datore di lavoro, di personale in assenza delle necessarie comunicazioni obbligatorie agli enti, nonché di qualsivoglia assicurazione previdenziale, assistenziale e anti-infortunistica.

L’impianto sanzionatorio

L’INL, nella propria nota, evidenzia come il regime sanzionatorio applicabile al datore di lavoro, in virtù delle ultime revisioni normative, è stato graduato per fasce in base alla durata del comportamento illecito, inteso come impiego di lavoro sommerso o “nero”. La sanzione così determinata è stata aumentata del 20% ai sensi dell’art. 1, comma 445 lett. d), della Legge n. 145/2018. Attualmente la sanzione è, quindi, determinata come di seguito:

  1. da Euro 1.800 a Euro 10.800 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore sino a trenta giorni di effettivo lavoro;
  2. da Euro 3.600 a Euro 21.600 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore da trentuno e sino a sessanta giorni di effettivo lavoro;
  3. da Euro 7.200 a Euro 43.200 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore oltre sessanta giorni di effettivo lavoro.

Inoltre, in forza dell’art. 3, comma 3-quater, le sanzioni sono aumentate di un ulteriore 20% in caso di impiego di:

  • lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno o il cui permesso sia scaduto e del quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il rinnovo, revocato o annullato;
  • minori in età non lavorativa (cioè coloro che non possono far valere dieci anni di scuola dell’obbligo e il compimento dei sedici anni);
  • percettori del reddito di cittadinanza.

Per completezza si segnala che la Legge di bilancio 2019 ha previsto, oltre alla maggiorazione del 20% degli importi dovuti a titolo di sanzione, il raddoppio di tali percentuali laddove il datore di lavoro, nei tre anni precedenti, sia stato destinatario di sanzioni amministrative o penali per i medesimi illeciti (c.d. recidiva).

La diffida a regolarizzare

L’INL continua, nel proprio vademecum, illustrando come il D.Lgs. n. 151/2015 abbia reintrodotto la diffidabilità” della maxi-sanzione al fine di “promuovere la regolarizzazione dei rapporti sommersi.

In merito, nella nota vengono delineate tre distinte ipotesi:

  • regolarizzazione del rapporto di lavoro in “nero” per i lavoratori ancora in forza, a cui il datore di lavoro può ottemperare nel termine di 120 giorni dalla notifica del verbale unico ad alcune precise condizioni, ossia (i) instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato e (ii) mantenimento in servizio di tali lavoratori per un periodo non inferiore ai tre mesi;
  • regolarizzazione del rapporto di lavoro per lavoratori regolarmente occupati per un periodo successivo a quello prestato in “nero”, cui è possibile ottemperare nel termine di 45 giorni con dimostrazione di:
    • rettifica della data di effettivo inizio del rapporto di lavoro;
    • pagamento dei contributi e premi;
    • pagamento delle sanzioni in misura minima;
  • regolarizzazione di lavoratori in “nero” non in forza all’atto dell’accesso ispettivo, analoga alla precedente.

I casi di esclusione

La nota illustra, altresì, che la “maxi-sanzione” non si applica tutte le volte in cui “dagli adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti, si evidenzi la volontà del datore di lavoro di non occultare il rapporto di lavoro, anche laddove si tratti di una differente qualificazione dello stesso”.

Conseguentemente, il personale ispettivo non adotterà la “maxi-sanzione” nei casi di:

  • intervenuta regolarizzazione spontanea ed integrale del rapporto di lavoro originariamente in “nero”, prima di qualsiasi accertamento da parte di organismi di vigilanza in materia giuslavoristica, previdenziale o fiscale o prima dell’eventuale convocazione per espletamento del tentativo di conciliazione monocratica;
  • differente qualificazione del rapporto di lavoro.

Per “intervenuta regolarizzazione” l’INL intende i casi in cui:

  1. il datore di lavoro abbia proceduto ad effettuare entro la scadenza del primo adempimento contributivo (cioè fino al giorno 16 del mese successivo a quello di inizio del rapporto di lavoro) anche la sola comunicazione di assunzione, dalla quale risulti la data di effettiva instaurazione del rapporto di lavoro. Restano fermi i successivi e i conseguenti adempimenti previdenziali e la piena sanzionabilità anche della tardiva comunicazione;
  2. il datore di lavoro, scaduto il termine del primo adempimento contributivo, abbia:
  3. denunciato spontaneamente la propria situazione debitoria entro 12 mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi o dei premi dovuti agli Istituti previdenziali e
  4. effettuato il versamento degli interi importi dei contributi o premi dovuti per tutto il periodo di irregolare occupazione entro 30 giorni dalla denuncia, unitamente al pagamento della sanzione civile prevista per il caso di omissione contributiva. Il tutto, previa comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da cui risulti la data di effettivo inizio della prestazione.

Ministero del Lavoro: nuove causali CIGO conseguenti a crisi in Ucraina

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con Decreto ministeriale n. 67 del 31 marzo 2022 (il “Decreto”), ha apportato una significativa integrazione al Decreto ministeriale n. 95442/2016 a fronte degli eventi bellici in atto in Ucraina che stanno causando, oltre ad una crisi umanitaria, notevoli difficoltà economiche e di mercato.

Vengono, infatti, introdotte due causali di intervento della cassa integrazione guadagni ordinaria (“CIGO”), con particolare riferimento ai casi di “mancanza di lavoro o di commesse e crisi di mercato” e “mancanza di materie prime o componenti”.

L’assetto normativo ordinario

Il D. Lgs. 148/2015:

  • delimita il campo di applicazione della CIGO alle aziende appartenenti a precisi settori merceologici di attività, tra cui rientrano le imprese del settore industriale;
  • identifica i destinatari in tutti i lavoratori subordinati (anche apprendisti con contratto di apprendistato professionalizzante), ad esclusione dei dirigenti e dei lavoratori a domicilio. I destinatari devono, però, avere, presso l’unità produttiva per la quale viene richiesto il trattamento, un’anzianità di effettivo lavoro di almeno 30 giorni alla data di presentazione della relativa domanda di concessione. Detto requisito non è necessario in caso di richiesta CIGO per eventi “oggettivamente non evitabili”. 

In generale, il ricorso alla CIGO è subordinato alla transitorietà e temporaneità dell’evento che determina la crisi, oltre che alla sua non imputabilità all’azienda ed agli stessi dipendenti. 

Il DM 95442/2016 ha individuato quali possibili cause per la concessione della CIGO le seguenti:

  1. mancanza di lavoro e di commesse – contrazione periodica dell’attività lavorativa; 
  2. crisi di mercato; 
  3. fine cantiere, fine lavoro o fine fase lavorativa; 
  4. mancanza di materie prime o componenti; 
  5. eventi meteo, incendi, alluvioni, sisma, crolli etc.; 
  6. perizia di variante o suppletiva al progetto originario; 
  7. guasti ai macchinari; 
  8. manutenzione straordinaria; 
  9. impraticabilità dei locali anche per ordine di pubblica autorità; 
  10. sospensione o riduzione dell’attività per ordine di pubbliche autorità; 
  11. sciopero di reparto. 

Soffermandoci sulle causali di intervento di cui ai punti a), b) e d) del sopra citato elenco, il DM 95442/2016 prevede la possibilità di accedere alla CIGO per:

  • mancanza di lavoro o commesse e crisi di mercato” se l’impresa richiedente dimostra, tramite una dettagliata relazione tecnica da allegare all’istanza, che la contrazione dell’attività lavorativa deriva da un calo di ordini e commesse che compromettono gli indicatori economico-finanziari di bilancio;
  • crisi di mercato” se l’impresa richiedente dimostra che la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa deriva dall’andamento del mercato o del settore merceologico a cui essa appartiene e
  • mancanza di materie prime” se l’impresa richiedente dimostra che la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa deriva dall’andamento di mercato o del settore merceologico. Ciò, attraverso una relazione tecnica che documenti “le modalità di stoccaggio e la data dell’ordine delle materie prime o dei componenti nonché le iniziative utili al reperimento delle materie prime o dei componenti di qualità equivalente ivi comprese le attività di ricerca di mercato sulla base di idonei mezzi di comunicazione, intraprese senza risultato positivo”.

L’intervento delle nuove causali eccezionali

Conseguentemente alla crisi russo-ucraina che sta avendo un forte impatto sui mercati e al fine di fronteggiare questo periodo di incertezza economica, il Ministero del Lavoro per il 2022 ha introdotto le seguenti previsioni:

  • viene integrata la fattispecie di “crisi di mercato” con “la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa derivante anche dall’impossibilita di concludere accordi o scambi determinata dalle limitazioni conseguenti alla crisi in Ucraina”;
  • il caso di “mancanza di materie prime o componenti” “sussiste anche quando sia riconducibile a difficoltà economiche, non prevedibili, temporanee e non imputabili all’impresa, nel reperimento di fonti energetiche, funzionali alla trasformazione delle materie prime necessarie per la produzione”. Sul punto il Ministero specifica che “la relazione tecnica documenta le oggettive difficoltà economiche e la relativa imprevedibilità, temporaneità e non imputabilità delle stesse all’impresa”.

Tirocinio: su salute e sicurezza il datore di lavoro ha gli stessi doveri previsti per i lavoratori dipendenti (Andre Di Nino, Sintesi – Ordine dei Consulenti del Lavoro, aprile 2022)

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7093 del 1° marzo 2022, si è espressa in merito alle responsabilità datoriali circa gli obblighi di salute e sicurezza sul lavoro nei confronti dei tirocinanti.

In particolare, la vicenda ha origine da un episodio infortunistico verificatosi ai danni di una studentessa tirocinante presso un’azienda agricola. La ragazza, nell’atto di pulire un grosso tino, era salita su una scala con in mano un tubo di gomma collegato al rubinetto dell’acqua. Insieme al proprio tutor, il tino era stato aperto e il pesante coperchio metallico appoggiato, in equilibrio, sul bordo del tino. Durante le operazioni di pulizia, il coperchio era rovinato sulla tirocinante, colpendole la mano destra e causando una profonda ferita da taglio con lesione al tendine.

L’iter giudiziale che ha fatto seguito all’avvenimento ha visto il datore di lavoro addossato della responsabilità penale dell’accaduto, data la contestazione di aver cagionato alla tirocinante lesioni personali giudicate guaribili in 105 giorni. In particolare, nei diversi gradi di giudizio è stato osservato come, ai sensi dell’art. 2, lett. a), del D. Lgs. 81/2008 (c.d. “Testo unico sulla sicurezza sul lavoro”), la tirocinante debba essere ricompresa nella più ampia categoria di “lavoratore”, in quanto i fini della sicurezza sul lavoro è considerato tale chiunque svolga“un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari”, indipendente dalla tipologia contrattuale.

Alla luce di tale previsione, veniva addebitato al datore di lavoro di avere violato le norme in materia di sicurezza sul lavoro e, segnatamente, di “avere disposto che l’attività di lavaggio della vasca venisse eseguita senza alcuna preventiva valutazione del rischio, in carenza assoluta di una precipua formazione e senza munire la tirocinante dei necessari dispositivi di protezione (artt. 17, 37 e 71 D. Lgs. 81/2008)”.

Avverso la pronuncia di cui sopra, l’azienda ha proposto ricorso per cassazione, avanzando diversi motivi di doglianza.

Anzitutto, l’azienda non riteneva di doversi fare carico delle disposizioni di cui al Testo unico sulla sicurezza, nella convinzione che l’adempimento degli obblighi di sicurezza del tirocinante fosse riferibile esclusivamente al soggetto promotore, a meno che un’apposita convenzione non facesse convergere gli stessi sull’azienda ospitante. Sul punto, il datore di lavoro osservava come nella convenzione fosse esplicitamente previsto che la copertura assicurativa del tirocinante contro gli infortuni sul lavoro rientrasse tra gli obblighi del soggetto promotore, ossia l’università presso cui la tirocinante era iscritta all’epoca dei fatti.

Inoltre, il datore di lavoro osservava come fosse altrettanto chiara la circostanza che gli spazi ed i relativi impianti messi a disposizione dei tirocinanti nei locali aziendali fossero assolutamente a norma, in totale ottemperanza rispetto a quanto stabilito dalla convenzione stipulata con l’università. Pertanto, nessuna responsabilità penale sarebbe potuta gravare sul datore di lavoro – a suo dire – considerato che, in tema di sicurezza sul lavoro, era stato inoltre incaricato un tecnico specializzato per la valutazione dei rischi all’interno dell’azienda.

Da ultimo, il datore di lavoro riteneva che fosse lampante come l’infortunio occorso alla tirocinante fosse dipeso da un comportamento istantaneo e imprevedibile della stessa, non collegato al compito affidatole. In particolare, durante l’attività di pulizia realizzata dalla ragazza, il coperchio, probabilmente a causa degli spruzzi di acqua ricevuti, si sbilanciava verso l’interno della vasca; in tale momento e senza alcuna logica, la tirocinante tentava di fermare il coperchio con la sola mano destra, continuando a tenere il tubo dell’irrigazione con la sinistra. Così operando, a dire del datore di lavoro, la tirocinante era assolutamente conscia del fatto che stava attuando una condotta pericolosa per la propria incolumità, riferibile ad un comportamento abnorme suscettibile di escludere ogni responsabilità da parte dell’azienda. “Anche in presenza di adeguata formazione in punto di sicurezza – sosteneva il datore di lavoro – l’infortunio si sarebbe egualmente verificato, esulando il comportamento della persona offesa dalle più elementari regole di prudenza”.

Stanti le motivazioni avanzate dal datore di lavoro con il proprio ricorso, i giudici della Cassazione hanno ritenuto che i motivi di doglianza fossero manifestamente infondati, respingendo il ricorso datoriale.

In particolare, l’applicazione al caso di specie delle previsioni del D. Lgs. 81/2008 è stata ritenuta corretta, poiché la figura del tirocinante è, a tutti gli effetti, assimilabile a quella del normale lavoratore dipendente. Conseguentemente, nella specifica ipotesi in cui presso un’azienda siano presenti soggetti che svolgano tirocini formativi, il datore di lavoro sarà tenuto ad osservare tutti gli obblighi previsti dal citato testo unico al fine di garantire la salute e la sicurezza degli stessi.

Inoltre, non ha avuto rilievo l’obbligo assicurativo gravante sul soggetto promotore, poiché, come si evince dal titolo della circolare INAIL n. 16/2014, esso riguarda l’“obbligo assicurativo dei tirocinanti e relativa determinazione del premio”, senza alcuna attinenza con la sicurezza sui luoghi di lavoro. Alla Suprema Corte è risultato, dunque, di tutta evidenza come non possa validamente sostenersi la esistenza di una fonte di esonero da responsabilità del datore di lavoro nei confronti dei tirocinanti, partecipanti a stage formativi in un’azienda, nella disciplina e nella convenzione richiamata nel ricorso.

La Corte di Cassazione ha osservato come nella sentenza di secondo grado fosse stato acclarata l’omissione di “qualunque attività di informazione e formazione sull’attività da espletare” da parte della tirocinante, “la quale aveva precisato di non aver ricevuto alcuna istruzione sulle modalità esecutive del lavoro da compiere”. Il datore di lavoro, a sua volta, aveva affermato di “non sapere come doveva essere compiuta l’operazione di lavaggio della vasca e di non possedere alcuna preparazione per lo svolgimento dell’attività di tutoraggio”. Altrettanto, risultava chiaro come il datore di lavoro non avesse dotato la tirocinante “dei mezzi di protezione individuali (guanti antitaglio) necessari per eseguire l’operazione, tenuto conto delle caratteristiche del coperchio e del fatto che esso non fosse trattenuto in nessun modo nel momento in cui veniva spostato”.

I giudici, in merito, hanno osservato come la qualità datoriale in capo alla imponesse “la previa valutazione del rischio a cui era esposta la tirocinante, la cui posizione è equiparata al lavoratore per quanto detto sopra, e l’adozione delle necessarie misure di sicurezza”.

Non ha avuto rilievo, invece, la circostanza, segnalata nel ricorso, che la titolare dell’azienda si fosse avvalsa della collaborazione di un professionista incaricato di risolvere ogni

problematica in materia di sicurezza. Sul punto, infatti, la valutazione del rischio, ai sensi dell’art. 17 D. Lgs 81/2008, è compito affidato al datore di lavoro, non delegabile.

Infine, è stato ritenuto inconferente il richiamo al comportamento “abnorme” della tirocinante: in tema di infortuni sul lavoro, infatti, “qualora l’evento sia riconducibile alla violazione di una molteplicità di disposizioni in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro, il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato anche elementari norme di sicurezza non può considerarsi eccentrico o esorbitante dall’area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia”.

Agenzia delle Entrate: sono fiscalmente deducibili i contributi rimborsati dal lavoratore al datore di lavoro per errata applicazione del massimale

Con la recente risposta ad interpello n. 117/2022, l’Agenzia delle Entrate ha confermato la deducibilità fiscale dei contributi previdenziali rimborsati dal lavoratore al datore di lavoro a causa dell’indebita applicazione del massimale contributivo. E, in applicazione del principio di cassa, tale la deducibilità trova applicazione con riferimento al periodo di imposta in cui i contributi sono rimborsati al datore di lavoro.

Applicabilità del massimale contributivo

I fatti oggetto dell’istanza di interpello hanno visto l’INPS notificare ad un’azienda una diffida per “recupero contributi da eccedenza massimale” ai sensi dell’articolo 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 con riferimento alla posizione previdenziale di un lavoratore che coinvolgeva più annualità (anni 2015, 2016 e 2017).

All’azienda veniva, infatti, richiesto di sanare l’omissione contributiva derivante dalla mancata comunicazione da parte del lavoratore dell’esistenza “di periodi utili o utilizzabili ai fini dell’anzianità contributiva antecedenti al 1° gennaio 1996”.

Per un verso, l’INPS contestava l’omissione contributiva “in quanto sono emersi (ndr erano emersi) versamenti contributivi solo figurativi (servizio di leva) in epoca antecedente al 1° gennaio 1996”; per altro verso, disconosceva l’applicazione del massimale annuo della base contributiva e pensionabile, previsto dal citato articolo 2, comma 18, Legge n. 335/1995 per i lavoratori che si iscrivono a forme pensionistiche obbligatorie a far data dal 1° gennaio 1996 (cd. “nuovi iscritti”) e privi di anzianità contributiva precedente. Per coloro che vantano anzianità contributiva già maturata in forme pensionistiche obbligatorie entro il 31 dicembre 1995 (cd. “vecchi iscritti”), infatti, il massimale contributivo non trova applicazione, con la conseguenza che l’intera retribuzione imponibile viene assoggettata a contribuzione previdenziale, sia in capo al lavoratore che al datore di lavoro.

Nel caso di specie, l’errata applicazione del massimale contributivo derivava dalla dichiarazione resa dal lavoratore in merito alla propria anzianità contributiva che non aveva tenuto conto dei periodi contributivi maturati prima del 1996. Pertanto, il lavoratore si trovava nella condizione di dover riversare al datore di lavoro i contributi a proprio carico, anticipati dallo stesso all’INPS.

La deducibilità fiscale dei contributi arretrati

Tanto premesso, il lavoratore istante ha chiesto chiarimenti all’Agenzia delle Entrate in merito alle modalità con cui procedere alla restituzione dei contributi per la quota a suo carico e alla eventuale deducibilità di quest’ultimi, trattandosi di contributi obbligatori per legge.

Nella propria risposta, l’autorità fiscale ha ricordato come l’articolo 10, comma 1, lettera e), del decreto del Presidente della Repubblica n. 917/1986 (cd. “TUIR”) prevede che dal reddito complessivo si deducono “i contributi previdenziali ed assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge, nonché quelli versati facoltativamente alla gestione della forma pensionistica obbligatoria di appartenenza, ivi compresi quelli per la ricongiunzione di periodi assicurativi”.

Pertanto, a parere dell’Agenzia, sono deducibili non solo i contributi previdenziali ed assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge, ma anche i contributi previdenziali versati facoltativamente all’ente che gestisce la forma pensionistica obbligatoria di appartenenza, qualunque sia la causa che origina il versamento.

Inoltre, viene rilevato che, in applicazione delle regole generali in materia di oneri deducibili dal reddito complessivo, “i contributi in questione sono deducibili se risultano effettivamente a carico del contribuente e debitamente documentati”. In applicazione del cd. “principio di cassa”, al pari di ogni altro onere, “sono deducibili fino a concorrenza del reddito complessivo con riferimento al periodo d’imposta in cui sono stati versati”.

Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che la maggior quota contributiva a carico del lavoratore e derivante dall’erronea applicazione del massimale contributivo per gli anni 2015, 2016 e 2017 costituisce un’integrazione di contributi obbligatori per legge, a suo tempo non versati. Di conseguenza, tale ammontare risulta deducibile ai fini fiscali per il lavoratore nel periodo d’imposta in cui ha operato effettuato il versamento in favore del datore di lavoro.

Maggio 2022: NOVITA’ E RINNOVI CCNL

  • CCNL Autorimesse e noleggio automezzi: elemento di garanzia retributiva

Entro il mese di maggio deve essere corrisposta la cifra lorda di Euro 400,00 dovuta, per l’anno 2022, a titolo di “elemento di garanzia retributiva”.

L’erogazione è dovuta ai dipendenti di aziende che non abbiano stipulato accordi di secondo livello al 31 dicembre 2020, sempreché gli stessi lavoratori non percepiscano trattamenti economici, anche forfettari, individuali o collettivi, in aggiunta al trattamento economico già fissato dal CCNL.

  • CCNL Calzaturieri (Industria): contributi contrattuali

Entro il 31 maggio 2022, i datori di lavoro sono tenuti a comunicare alle RSU – o, in mancanza, alle organizzazioni sindacali territoriali di Femca – Cisl, Filctem – Cgil e Uiltec – Uil – l’ammontare complessivo trattenuto a titolo di contributi contrattuali, unitamente al numero complessivo degli aderenti alla sottoscrizione e al numero dei dipendenti in forza.

  • CCNL Cemento, calce (Industria): contributi contrattuali

Entro il 31 maggio 2022 è riconosciuta ai lavoratori non iscritti ai sindacati la possibilità di comunicare al datore di lavoro per iscritto la propria volontà di non accettare la trattenuta di Euro 30,00 a titolo di quota associativa una tantum sulla retribuzione del successivo mese di ottobre.

  • Aumento dei minimi retributivi dal 1° maggio 2022

A decorrere dal 1° maggio 2022 è previsto un aumento dei minimi retributivi tabellari dei seguenti contratti collettivi nazionali di lavoro:

  • CCNL Centri elaborazione dati;
  • CCNL Metalmeccanici (Artigianato);
  • CCNL Metalmeccanici (Artigianato – Conflavoro);
  • CCNL Odontotecnici;
  • CCNL Orafi e argentieri (Artigianato).
  • “Una tantum”

Nel mese di maggio 2022 è prevista l’erogazione di importi a titolo di “una tantum” ai sensi dei seguenti contratti collettivi nazionali di lavoro:

  • CCNL Guardie ai fuochi.

Accesso alla pensione anticipata “Quota 102”: l’INPS fornisce istruzioni operative

L’INPS, con la circolare n. 38 datata 8 marzo 2022, ha diramato le istruzioni operative utili all’accesso alla pensione anticipata prevista dall’art. 1, comma 87, della Legge n. 234/2021 (“Legge di Bilancio 2022”), anche detta “Quota 102.

Nel dettaglio, la norma riconosce il diritto alla pensione anticipata al raggiungimento, entro il 31 dicembre 2022, di (i) un’età anagrafica di almeno 64 anni e (ii) un’anzianità contributiva minima di 38 anni. Inoltre, viene coordinata la previgente disciplina della pensione “Quota 100”, ancora applicabile alla pensione anticipata introdotta dalla disposizione in oggetto, ai nuovi requisiti pensionistici da maturare entro l’anno 2022.

Accesso alla nuova pensione anticipata “Quota 102”

Nella circolare, condivisa con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, l’INPS illustra i requisiti di accesso alla nuova forma di pensionamento anticipato, ripercorrendo gli interventi del legislatore fin dall’istituzione della pensione “Quota 100”, prevista, in via sperimentale, per il triennio 2019/2021. Quest’ultima tipologia di accesso anticipato alla pensione era rivolta a coloro che “perfezionano (ndr perfezionavano), nel periodo compreso tra il 2019 e il 2021, un’età anagrafica non inferiore a 62 anni e un’anzianità contributiva non inferiore a 38 anni […] fermo restando che il diritto conseguito entro il 31 dicembre 2021 può (ndr poteva) essere esercitato anche successivamente alla predetta data”.

L’articolo 1, comma 87, lettera a), della Legge di Bilancio 2022, nell’integrare la disciplina relativa alla pensione “Quota 100”, ha aggiunto un ulteriore periodo al comma 1 dell’articolo 14, prevedendo che “i requisiti di età anagrafica e di anzianità contributiva di cui al primo periodo del presente comma sono determinati in 64 anni di età anagrafica e 38 anni di anzianità contributiva per i soggetti che maturano i requisiti nell’anno 2022. Il diritto conseguito entro il 31 dicembre 2022 può essere esercitato anche successivamente alla predetta data”.

Sul punto, l’INPS osserva che gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria (“AGO”) e alle forme esclusive e sostitutive della medesima da esso gestite nonché alla Gestione separata, maturano il diritto alla pensione anticipata al raggiungimento, entro il 31 dicembre 2022, di un’età anagrafica di almeno 64 anni e di un’anzianità contributiva minima di 38 anni.

Il diritto alla pensione anticipata maturato entro il 31 dicembre 2022 può essere fatto valere anche successivamente a tale data, ai fini del conseguimento della pensione, fermo restando il decorso del tempo previsto per l’apertura della c.d. “finestra”. Il requisito anagrafico di 64 anni, allo stesso modo, non è adeguato agli incrementi alla speranza di vita.

Condizionalità e decorrenza del trattamento pensionistico

Le modifiche apportate dalla Legge di bilancio 2022, inoltre, coordinano la previgente disciplina della pensione “Quota 100” ai nuovi requisiti pensionistici da maturare entro l’anno 2022, con particolare riferimento, tra gli altri:

  • alla facoltà di cumulare, tutti e per intero, i periodi assicurativi versati o accreditati presso due o più forme di assicurazione obbligatoria gestite dall’INPS;
  • al divieto di cumulo della prestazione pensionistica con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli da lavoro autonomo occasionale nel limite di Euro 5.000 lordi annui.

Ai fini della decorrenza del trattamento pensionistico in argomento, trovano applicazione le disposizioni previste dall’articolo 14, commi 5 e 6, del decreto-legge n. 4/2019, che prevedono una disciplina diversificata in materia di conseguimento del diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico a seconda del datore di lavoro, pubblico o privato, nonché della Gestione previdenziale a carico della quale è liquidato il trattamento pensionistico.

In particolare, il trattamento pensionistico decorre, con riferimento ai lavoratori dipendenti da datori di lavoro diversi dalle pubbliche Amministrazioni e ai lavoratori autonomi, trascorsi 3 mesi dalla data di maturazione dei requisiti. In questo caso, la decorrenza della pensione non può essere anteriore al 1° maggio 2022, ove il trattamento pensionistico sia liquidato a carico di una Gestione diversa da quella esclusiva dell’AGO, ovvero, al 2 aprile 2022, ove il trattamento pensionistico sia liquidato a carico della Gestione esclusiva dell’AGO.

Maturazione dei requisiti a seguito di riscatto contributivo

L’INPS chiarisce, altresì, che ai fini della maturazione del diritto a pensione, i periodi oggetto di riscatto debbano essere considerati nella loro collocazione temporale, esplicando effetti giuridici come se fossero stati tempestivamente acquisiti alla posizione assicurativa dell’interessato.

Ai fini del perfezionamento del requisito contributivo di almeno 38 anni, pertanto, è valutabile la contribuzione a qualsiasi titolo versata o accreditata in favore dell’assicurato. I lavoratori che perfezionano i requisiti, nel periodo compreso tra il 2019 e il 2021, per la pensione “Quota 100”, ovvero entro il 2022, per la pensione “Quota 102”, possono conseguire il relativo trattamento pensionistico in qualsiasi momento, anche successivo alle predette date, al ricorrere delle condizioni previste.

Ispettorato Nazionale del Lavoro: prime indicazioni circa le nuove disposizioni in materia di tirocini extracurricolari

Con la nota n. 530 del 21 marzo 2022, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (l’“INL”) ha fornito alcuni chiarimenti in materia di tirocini extra-curricolari, con particolare riferimento alle nuove disposizioni introdotte dalla Legge n. 234/2021 (c.d. “Legge di Bilancio 2022”). 

In primis, riallacciandosi a quanto previsto dal comma 720 dell’art. 1 della Legge di Bilancio, l’INL ribadisce che il tirocinio è un percorso formativo di alternanza tra studio e lavoro, finalizzato all’orientamento e alla formazione professionale, anche per migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Qualora sia funzionale al conseguimento di un titolo di studio formalmente riconosciuto, il tirocinio si definisce curriculare”.

Successivamente, vengono elencati i punti delle linee guida che, entro 180 giorni dall’entrata in vigore della Legge di Bilancio 2022, il Governo e le Regioni dovranno seguire per la redazione e promulgazione di un nuovo accordo condiviso in materia di tirocini extra-curricolari, ovverosia:

  • revisione della disciplina dei tirocini con la previsione che l’attivazione dei tirocini extra-curricolari debba essere circoscritta in favore di soggetti con difficoltà di inclusione sociale;
  • garanzia di una congrua indennità di partecipazione, determinazione di una durata massima che comprenda anche eventuali proroghe e determinazione di limiti numerici di tirocini attivabili in relazione alle dimensioni d’impresa;
  • definizione di livelli essenziali circa la formazione da erogare al tirocinante con la previsione di una certificazione delle competenze alla sua conclusione;
  • definizione di una quota minima di tirocinanti da assumere tra quelli già in essere prima di poter procedere ad una nuova attivazione;
  • previsione di azioni e interventi volti a prevenire e contrastare un uso distorto dell’istituto, anche attraverso la puntuale individuazione delle modalità con cui il tirocinante presta la propria attività.

Accanto alle disposizioni di futura applicazione, la Legge di Bilancio ha introdotto alcuni precetti che sono già vigenti a partire dalla sua entrata in vigore:

  • indennità di partecipazione: la mancata erogazione di una congrua indennità, come da linee guida vigenti, comporta a carico del trasgressore “l’irrogazione una sanzione amministrativa il cui ammontare è proporzionato alla gravità dell’illecito commesso, in misura variabile da un minimo di 1.000 euro a un massimo di 6.000 euro;
  • ricorso fraudolento al tirocinio: come noto il tirocinio non è identificabile come un rapporto di lavoro e per detto motivo un tirocinante non può in alcun modo sostituire un lavoratore dipendente. Se il tirocinio è reso in modo fraudolento il soggetto ospitante è punito con la pena “dell’ammenda di 50 euro per ciascun tirocinante coinvolto e per ciascun giorno di tirocinio”. Resta ferma “la possibilità, su domanda del tirocinante, di riconoscere la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a partire dalla pronuncia giudiziale”.
  • comunicazione al Centro per l’Impiego: si ribadisce che l’obbligo di comunicazione telematica dell’istaurazione di un tirocinio riguarda unicamente i tirocini extracurricolari. Pertanto, al pari delle altre comunicazioni obbligatorie, in caso di omessa o ritardata comunicazione, è prevista una sanzione amministrativa di importo variabile da 100 a 500 euro per ogni stagista interessato;
  • obblighi di sicurezza: il soggetto ospitante è tenuto, nei confronti dei tirocinanti al rispetto integrale delle disposizioni in materia di salute e sicurezza di cui al D. Lgs. 81/2008. Le relative spese sono integralmente a carico del soggetto ospitante. Come precisato dall’INL, in materia di salute e sicurezza, per il tirocinante sono previste le medesime tutele del personale dipendente.

HR VIRTUAL BREAKFAST “Contratti a termine: regole e prospettive per i datori di lavoro” (HR Capital – De Luca & Partners, 3 maggio 2022)

Martedì 3 maggio, HR Capital e De Luca & Partners hanno organizzato un nuovo HR Virtual Breakfast.

Luca Cairoli, Associate del nostro Studio e il Consulente del Lavoro Andrea Di Nino di HR Capital hanno fatto il punto sui contratti a termine, con un focus tecnico e normativo sulle regole e le prospettive per i datori di lavoro, con la moderazione del nostro Partner, Enrico De Luca.

FOCUS:

“Nel tempo, il legislatore ha cercato di rendere sempre meno conveniente il ricorso ai contratti di lavoro a termine. Ciò è avvenuto anche sotto il profilo dei costi contributivi, più onerosi nei contratti a tempo determinato, ma con un sistema di premialità per le aziende che stabilizzano i rapporti di lavoro precari.”

Il sistema di tutele previdenziali previsto per la generalità dei lavoratori vale anche per i dipendenti a tempo determinato. Alcune di queste, però, si esauriscono alla cessazione del rapporto di lavoro: è il caso dell’indennità di malattia.”

AGENDA:

  • Costo del lavoro: oneri contributivi e sgravi applicabili;
  • Tutele previdenziali (ad es. malattia, maternità, etc.);
  • Computabilità nell’organico aziendale: prospetto disabili, tirocini extra-curriculari, apprendistato, etc.;
  • Limiti di durata e nuove causali “contrattuali”;
  • Limiti quantitativi, esenzioni e sanzioni per il datore di lavoro;
  • Scadenza del termine: prosecuzione del rapporto, proroghe e rinnovi;
  • Requisiti di forma e recesso prima del termine.

Info a: comunicazione@hrcapital.it

Patto di prova: requisito di specificità e rinvio alla contrattazione collettiva nel contratto di lavoro (Andrea Di Nino, Sintesi- Ordine dei Consulenti del Lavoro, marzo 2022)

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1099 del 14 gennaio 2022, si è espressa in merito al requisito di specificità del patto di prova e alla sua declinazione nel contratto individuale di lavoro.

In particolare, i fatti di causa hanno visto una lavoratrice agire al fine di ottenere l’accertamento della nullità del patto di prova apposto al contratto di lavoro a tempo determinato intercorso con un datore di lavoro, il quale aveva operato il recesso per mancato superamento della prova stessa. Al contempo, di conseguenza, il lavoratore chiedeva anche la nullità del recesso datoriale e la condanna dell’azienda al risarcimento del danno, commisurato alle retribuzioni che avrebbe percepito fino alla naturale scadenza del rapporto di lavoro. Tale risarcimento del danno avveniva anche in virtù del difficile reperimento di altra occupazione a seguito del recesso, considerato il proprio status di invalidità a 46%.

La sentenza di primo grado accoglieva quanto avanzato dalla lavoratrice e tale pronuncia veniva ribadita in appello.

In particolare, nei due gradi di giudizio veniva accertato il “difetto di specificità del patto di prova nella individuazione delle mansioni di concreta adibizione della lavoratrice”.

Secondo il giudice d’appello, infatti, il contratto di lavoro stipulato tra le parti non riportava, in concreto, l’indicazione dei compiti a cui sarebbe stata adibita la lavoratrice. Difatti, il riferimento nel contratto individuale alla figura dell’«addetto ai lavori non rientranti nel ciclo produttivo» rendeva “priva di concretezza la indicazione dei compiti ai quali sarebbe stata adibita la lavoratrice”; analogamente, il rinvio operato dal contratto al «livello I 3» del CCNL applicato “non conferiva specificità alle mansioni da svolgere in ragione del fatto che la previsione collettiva menzionava fra i compiti riconducibili al detto livello «lavori analoghi a lavori di pulizia», senza ulteriore specificazione o esemplificazione”.

Infine, aggiuntivo elemento di incertezza in relazione ai compiti oggetto della prova era costituito dalla clausola del contratto individuale secondo cui le mansioni e gli obiettivi assegnati sarebbero stati specificati soltanto in seguito rispetto al momento dell’assunzione.

Avverso la sentenza di appello il datore di lavoro ricorreva in Cassazione, con diversi motivi di ricorso. In particolare, l’azienda riteneva che “la necessità di specificazione delle mansioni di adibizione al fine del patto di prova non esige che queste debbano essere indicate in dettaglio e la relativa identificazione può avvenire anche per mezzo di rinvio per relationem alla declaratoria del contratto collettivo”.

A dire del datore di lavoro, infatti, oltre alla declaratoria generale il CCNL forniva evidenza dettagliata dei compiti di riferimento del livello a cui la lavoratrice era inquadrata: in dettaglio, la posizione veniva identificata dal CCNL come correlata a “lavori di trasporto, carico e carico manuali, pulizia e analoghi, anche con mezzi meccanici”.

Tanto premesso, il datore di lavoro riteneva idoneo il rinvio operato “per relationem” nel contratto individuale e riferito al CCNL, così da integrare il requisito della specificità.

Nel proprio ricorso, l’azienda illustrava come la clausola del contratto individuale secondo cui mansioni ed obiettivi sarebbe stati specificati soltanto in seguito non si sarebbe prestata ad essere interpretata – come ritenuto dalla Corte di merito – nel senso del “difetto di specificità delle mansioni sulle quali avrebbe dovuto espletarsi la prova”, bensì come “rinvio a necessarie «microindicazioni» di servizio con le quali la parte datoriale avrebbe provveduto quotidianamente a precisare il contenuto delle mansioni in funzione del concreto espletamento delle stesse”.

Il ricorso della parte datoriale non ha trovato, però, accoglimento presso la Corte di Cassazione: i giudici di legittimità, infatti, hanno evidenziato come la causa del patto di prova debba essere individuata “nella tutela dell’interesse comune alle due parti del rapporto di lavoro, in quanto diretto ad attuare un esperimento mediante il quale sia il datore di lavoro che il lavoratore possono verificare la reciproca convenienza del contratto, accertando il primo le capacità del lavoratore e quest’ultimo, a sua volta, valutando l’entità della prestazione richiestagli e le condizioni di svolgimento del rapporto”.

La Suprema Corte ha osservato, inoltre, che “l’esigenza di specificità, che nell’ipotesi di lavoratore parzialmente invalido deve essere valutata con particolare rigore […] è funzionale al corretto esperimento del periodo di prova ed alla valutazione del relativo esito che deve essere effettuata in relazione alla prestazione e mansioni di assegnazione quali individuate nel contratto individuale; la specificazione può avvenire […] anche tramite il rinvio per relationem alle declaratorie del contratto collettivo con riferimento all’inquadramento del lavoratore, sempre che il richiamo sia sufficientemente specifico e riferibile alla nozione classificatoria più dettagliata, sicché, se la categoria di un determinato livello accorpi un pluralità di profili, è necessaria l’indicazione del singolo profilo, mentre risulterebbe generica quella della sola categoria”.

Secondo i giudici la sentenza impugnata non escludeva, in astratto, la possibilità di integrare la clausola del contratto individuale per mezzo del rinvio ai contenuti della qualifica e del livello di inquadramento del contratto collettivo corrispondenti a quelli attribuiti alla lavoratrice. In ogni, caso, tale riferimento non vale “in relazione alla fattispecie in esame a conferire specificità al contenuto delle mansioni sulle quali avrebbe dovuto svolgersi la prova”. Ciò in ragione del fatto che “la declaratoria collettiva relativa alla posizione professionale di inquadramento della lavoratrice evocava fra i compiti di possibile adibizione, accanto a quelli di pulizia, lavori agli stessi «analoghi»”, ampliando dunque in maniera indefinita l’ambito delle mansioni in concreto riconducibili al livello considerato.

Il ricorso del datore di lavoro è stato quindi rigettato, non essendo possibile instaurare alcun automatismo tra richiamo alla contrattazione collettiva e valutazione di specificità della clausola di prova.

Aprile 2022: NOVITA’ E RINNOVI CCNL

  • CCNL Cartai (Industria) e CCNL Grafici editoriali (Industria): elemento di garanzia retributiva

Ai lavoratori a tempo indeterminato in forza dal 1° gennaio 2021 è dovuto, con le competenze del mese di aprile, un importo di Euro 250,00 lordi ovvero una cifra inferiore fino a concorrenza in caso di presenza di un trattamento economico aggiuntivo a quello fissato dal CCNL.

L’obbligo riguarda (i) le aziende che non abbiano ricorso alla contrattazione di II livello negli ultimi tre anni e (ii) i lavoratori che non abbiano ricevuto, nello stesso periodo, nessun altro trattamento economico collettivo, inclusi quelli a titolo di liberalità, in aggiunta a quanto spettante a norma del contratto collettivo.

  • CCNL Ceramica, chimica (Piccola industria, fino a 49 dipendenti), CCNL Moda, chimica ceramica, decorazione piastrelle terzo fuoco e CCNL Tessili (Piccola industria – Confartigianato): diaria

Con riferimento al solo settore “coibenti”, dal mese di aprile 2022 l’importo della diaria è fissato in Euro 35,00, con esclusione del pernottamento. Quest’ultimo, infatti, rientra nel rimborso spese qualora si renda necessario per la natura della trasferta.

  • CCNL Ombrelli e ombrelloni (Industria) e CCNL Pelli e cuoio (Industria): previdenza complementare

Fermo restando il contributo a previdenza complementare a carico del lavoratore pari a 1,50%, dal 1° aprile 2022 il contributo a carico dell’azienda è elevato al 2,00%.

  • CCNL Telecomunicazioni: elemento di garanzia retributiva

Con le competenze del mese di aprile, ai dipendenti assunti a tempo indeterminato presso aziende prive di contrattazione di secondo livello riguardante il premio di risultato e che non abbiano percepito nel corso del 2021 altri trattamenti economici individuali o collettivi comunque soggetti a contribuzione oltre a quanto spettante dal CCNL, sarà riconosciuto un importo annuo pari a Euro 260,00 lordi ovvero una cifra inferiore fino a concorrenza in caso di presenza di un trattamento economico aggiuntivo a quello fissato dal CCNL stesso.

Il trattamento viene corrisposto pro-quota con riferimento a tanti dodicesimi quanti sono i mesi di servizio prestati dal lavoratore nell’anno precedente.

  • CCNL Metalmeccanici (Piccola industria – Confimi): contributi contrattuali

Il 20 aprile 2022 è in scadenza il versamento dei contributi contrattuali obbligatori dovuti a Confimi e riferiti al primo trimestre del 2022.

Il contributo mensile ammonta ad Euro 0,50 per ciascun dipendente in forza e deve essere versato trimestralmente, entro il giorno 20 del mese successivo al trimestre di competenza.

  • Aumento dei minimi retributivi dal 1° aprile 2022

A decorrere dal 1° aprile 2022 è previsto un aumento dei minimi retributivi tabellari dei seguenti contratti collettivi nazionali di lavoro:

  • CCNL Abbigliamento (Industria);
  • CCNL Ombrelli e ombrelloni (Industria);
  • CCNL Pelli e cuoio (Industria);
  • CCNL Studi professionali (Unimpresa/UNIAP/Confail);
  • CCNL Terziario, servizi (CIFA/Confsal);
  • CCNL Tessili (Industria).
  • “Una tantum”

Nel mese di aprile 2022 è prevista l’erogazione di importi a titolo di “una tantum” ai dipendenti i cui rapporti di lavoro sono regolati dai seguenti contratti collettivi nazionali di lavoro:

  • CCNL Agenzie di viaggio e turismo (Confcommercio);
  • CCNL Alimentari (Artigianato);
  • CCNL Nettezza urbana (Aziende municipalizzate);
  • CCNL Nettezza urbana (Aziende private);
  • CCNL Panificatori (Artigianato);
  • CCNL Telecomunicazioni;
  • CCNL Trasporto e spedizione merci (Artigianato);
  • CCNL Trasporto e spedizione merci (Confetra);
  • CCNL Trasporto e spedizione merci (FAI);
  • CCNL Trasporto, facchinaggio (Cooperative).
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