La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 23434 del 26 ottobre 2020, ha chiarito che non integra l’abuso del diritto alla fruizione dei permessi ex legge 104/1992 e non viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo, la partecipazione ad un corso formativo sulla malattia di cui è affetto il soggetto al quale si presta assistenza.
I fatti
La Corte di Appello di Trento, ribaltando la sentenza di primo grado, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad una lavoratrice per abuso dei permessi previsti dall’articolo 33 della legge n.104/1992.
Secondo la Corte d’Appello la società ex datrice di lavoro non aveva raggiunto la prova dell’abuso dei 3 permessi, poiché dalle prove testimoniali e dalla relazione dell’agenzia investigativa dalla stessa incaricata era emerso che “la lavoratrice si era recata a casa del padre affetto da Alzheimer per un numero di ore ben oltre eccedenti il suo ordinario orario di lavoro e, comunque, prevalente, volendo escludere la sua partecipazione ad un incontro di formazione in materia di Alzheimer tenutosi presso un centro universitario”.
Avverso la sentenza di secondo grado la società soccombente ricorreva in cassazione affidandosi a due motivi di ricorso.
La decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha, innanzitutto, osservato che la Corte d’appello nel formulare la sua decisione si è uniformata alla giurisprudenza secondo la quale il permesso ex art. 3 della Legge 604/1992 è riconosciuto al lavoratore “in ragione dell’assistenza al disabile e in relazione causale diretta con essa, senza che il dato testuale e la ratio della norma ne consentano l’utilizzo in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per detta assistenza”. Pertanto, “il comportamento del prestatore di lavoro subordinato che non si avvalga del permesso previsto dal citato articolo 33, in coerenza con la funzione dello stesso, ossia l’assistenza del familiare disabile, integra un abuso del diritto in quanto priva il datore di lavoro della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente ed integra, nei confronti dell’Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale”.
Tuttavia, “(…) l’assistenza al disabile (…) può essere prestata con modalità e forme diverse, anche attraverso lo svolgimento di incombenze amministrative, pratiche o di qualsiasi genere, purché nell’interesse del familiare assistito” (cfr ordinanza della Corte di Cassazione n. 23891/2018).
Sulla base di tali considerazioni, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando l’illegittimità del licenziamento intimato alla lavoratrice, avendo la stessa, nei giorni di fruizione dei permessi, frequentato un corso per accudire meglio il padre.