Secondo una ricerca di HR Capital, nel 2024 il 60% delle grandi aziende ha integrato i fringe benefit nelle proprie politiche retributive.
Rispetto al 2023, è stato rilevato un lieve incremento dell’erogazione dei fringe benefit (+10%), anche in virtù dell’innalzamento del limite di esenzione avvenuto negli ultimi anni.
Milano, 16 dicembre 2024 – L’impiego dei fringe benefit[1] continua a rappresentare una tra le politiche retributive più strategiche che le aziende possano applicare. Nonostante ciò, non sembrano ancora aver raggiunto la piena diffusione.
Questo è quanto emerge da una ricerca condotta da HR Capital – società consociata di De Luca & Partners e leader nei servizi per la gestione e per l’amministrazione del personale in outsourcing – che ha analizzato il tasso di adozione dei fringe benefit da parte delle aziende.
Più nel dettaglio, secondo lo studio[2] condotto sulle aziende assistite, il 60% del panel – prevalentemente grandi realtà strutturate – ha integrato i fringe benefit nelle proprie politiche retributive, anche in sinergia con i programmi di welfare aziendale. Il restante 40% del campione mostra, invece, una maggiore esitazione nell’adottare questi strumenti a causa del costo aggiuntivo generato, che, nonostante il regime fiscale agevolato, rimane rilevante soprattutto per le piccole e medie imprese.
Rispetto al 2023, si evidenzia così un innalzamento del 10% delle imprese che hanno introdotto o implementato la loro politica retributiva attraverso la concessione di fringe benefit, che si è concretizzata, nella maggior parte dei casi, nell’assegnazione ai propri dipendenti di auto aziendali a uso promiscuo o nel riconoscimento di coperture assistenziali mediante la stipula di polizze assicurative. “I dati evidenziano una tendenza di crescita nell’uso dei fringe benefit, seppur in minima misura, favorito anche dalle recenti modifiche normative che hanno incrementato i limiti di esenzione. La loro potenziale riconferma, prevista nella bozza del DDL Bilancio 2025, lascia presagire un’ulteriore diffusione dello strumento nel prossimo futuro” – commenta Andrea Di Nino, Consulente del Lavoro e collaboratore di HR Capital. “La ricerca – prosegue Di Nino – ha inoltre rilevato le difficoltà di gestione nel conferimento dei fringe benefit a seguito dell’innalzamento della soglia di esenzione a 2.000 euro per i dipendenti con figli a carico. Soprattutto nelle piccole e medie imprese, infatti, la procedura di distribuzione e reperimento delle dichiarazioni attestanti la presenza di figli a carico non è sempre semplice, e di conseguenza scoraggia le aziende dall’adozione dei fringe benefit”.
Il quadro normativo di riferimento, rappresentato dall’articolo 51 del Testo unico delle imposte sui redditi (“TUIR”), stabilisce per i compensi erogati sottoforma di fringe benefit un particolare regime di esenzione fiscale e contributiva, ponendo nel limite di 258,23 euro la soglia di esenzione, al superamento della quale tali fringe benefit entrano a far parte della retribuzione imponibile del lavoratore beneficiario per l’intero ammontare erogato. Negli ultimi anni, tale disposizione ha subito molteplici revisioni: in particolare, da ultimo, la Legge di Bilancio 2024 (L. n. 213/2023) ha previsto l’innalzamento della soglia di esenzione del valore dei fringe benefit complessivo entro il limite di 1.000 euro, innalzato a 2.000 euro per i lavoratori con figli fiscalmente a carico.
[1] Il termine fringe benefit fa riferimento ai compensi concessi sotto forma di beni e servizi dai datori di lavoro ai propri dipendenti, in conformità alle disposizioni contrattuali collettive o per libera scelta aziendale, al fine di incentivare e fidelizzare le risorse al proprio interno.
[2] Il campione su cui è stata basata la ricerca era composto da 40 aziende, di cui il 70% formato da imprese italiane. Il restante 30% era formato da imprese aventi la sede principale all’estero (comunque entro l’Unione Europea).
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