Lo stress lavoro-correlato non è, di per sé, una malattia, ma quando diventa eccessivo può compromettere seriamente lo stato di salute del lavoratore. Quando si manifesta in misura significativa, questo fattore di rischio comporta effetti negativi anche per il datore di lavoro, in termini di minore impegno del lavoratore, prestazioni e produttività del personale, incidenti causati da errore umano, turnover del personale e abbandono precoce, ma anche elevati tassi di assenza, insoddisfazione per il lavoro e potenziali implicazioni legali. Oggetto della rilevazione del rischio da stress lavoro-correlato sono, essenzialmente, le sollecitazioni negative che derivano dall’ambiente di lavoro, dall’organizzazione aziendale e dalle condizioni lavorative, dai rapporti interpersonali, nonché dalle aspettative di ciascun lavoratore. Le indicazioni per la corretta rilevazione del rischio sono state raccolte dall’Inail in un manuale (consultabile anche sul sito istituzionale), corredate della modulistica da utilizzare per la predisposizione dei questionari e del documento di valutazione dei rischi (“DVR”). L’istituto sottolinea che la rilevazione del rischio da stress lavoro-correlato è parte integrante della valutazione dei rischi e deve, pertanto, essere effettuata dal datore di lavoro che, ai sensi dell’articolo 17 del D. Lgs n. 81/2008, non solo non può delegarla, ma deve effettuarla in collaborazione con il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (“RSPP”) e con il medico competente, previa consultazione del Responsabile dei lavoratori per la sicurezza (“RLS”). Vi sono degli indicatori che possono segnalare anomalie rispetto ai parametri interni all’azienda, quali l’intensificarsi delle brevi assenze per malattia, il ripetersi di lievi infortuni dovuti a distrazione o stanchezza, lamentele da parte dei lavoratori, ferie non godute. In questa fase, detta di “valutazione preliminare”, si analizza anche il contesto lavorativo e organizzativo, ponendo attenzione a fattori quali i carichi e i ritmi di lavoro, la corrispondenza fra le mansioni assegnate e la professionalità dell’interessato, l’evoluzione e lo sviluppo della carriera, i conflitti interpersonali, l’efficacia delle comunicazioni, l’autonomia decisionale eccetera. Il livello di rischio è considerato non rilevante quando la sommatoria dei punteggi delle singole voci non supera il 25% del punteggio massimo attribuito alle stesse. Oltre tale limite e fino al 50% si rende necessario adottare azioni correttive e valutarne l’efficacia. Se permane il livello di rischio o se questo era già più alto occorre procedere con una valutazione approfondita che consideri anche il grado di percezione soggettiva dei lavoratori, tramite questionari, lavori di gruppo, riunioni, utile a identificare i fattori di rischio e le cause. Per le aziende fine a 5 dipendenti la commissione consultiva identifica nelle riunioni il miglior strumento di approfondimento. Oltre tale numero può essere utile utilizzare comunque lo strumento del questionario, seguito da riunioni, anche di singoli gruppi quando le dimensioni aziendali superino, per esempio, i 10 dipendenti. I risultati ottenuti, sia nella fase preliminare che in quella approfondita – se effettuata – devono essere oggetto di pianificazione delle misure che il datore di lavoro è tenuto ad adottare per l’eliminazione o, perlomeno, la riduzione del rischio, nonché del successivo monitoraggio sull’efficacia delle stesse. Il medico competente (quando presente) è tenuto a partecipare attivamente, sia nell’individuazione dei gruppi omogenei di lavoratori, sia nella vera e propria valutazione del rischio.
(Fonte il Sole 24 Ore)