Con la risposta ad interpello n. 621/2021, l’Agenzia delle Entrate si è espressa in merito al regime fiscale applicabile ai lavoratori impatriati che, durante l’emergenza sanitaria da Covid-19, hanno svolto la propria attività lavorativa in modalità agile (c.d. “smart working”) all’estero anziché in Italia.
I fatti oggetto dell’istanza di interpello
La Società istante, in qualità di sostituto di imposta, ha chiesto chiarimenti all’Agenzia delle Entrate circa la possibilità di applicare il regime agevolato per lavoratori impatriati di cui all’art. 16 del D.Lgs. 147/2015 ad un proprio dipendente che, durante il 2020, ha lavorato in smart working nei Paesi Bassi.
In particolare, l’istante ha chiesto se “per il lavoratore che, nel corso del periodo di imposta 2020, ha trascorso all’estero più di 184 giorni, il reddito relativo ai giorni di lavoro svolti nei Paesi Bassi sia comunque da considerare come reddito prodotto in Italia e beneficiare dell’agevolazione nonostante il mancato rispetto del requisito della prevalenza dell’attività svolta in Italia nel corso dell’anno”.
La normativa di riferimento e la risposta dell’Agenzia delle Entrate
L’art. 16 del D.Lgs. 147/2015, così come da ultimo modificato dal c.d. Decreto Crescita, dispone che per fruire del trattamento agevolato, ovverosia la riduzione dell’imponibile fiscale del 70% per cinque anni di imposta, è necessario che il lavoratore:
Beneficiano di tale regime anche i cittadini, appartenenti all’Unione Europea o ad uno Stato Extra-UE con il quale risulti in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni fiscali, i quali:
Tutto ciò premesso, l’Agenzia delle Entrate ha posto l’attenzione sul requisito che l’attività lavorativa sia svolta “prevalentemente nel territorio italiano”, richiamando la circolare n. 17/E del 23 maggio del 2017. Secondo detta circolare tale requisito “deve essere verificato in relazione a ciascun periodo di imposta e risulta soddisfatto se l’attività lavorativa è prestata nel territorio italiano per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco dell’anno”.
Pertanto, a parere dell’Agenzia dell’Entrate, il lavoratore non può beneficiare dell’agevolazione fiscale in esame se non presta attività sul territorio italiano per almeno 183 giorni in un anno. Ciò non significa però che detta agevolazione sia non più applicabile: come chiarito dall’Agenzia delle Entrate, il beneficio è fruibile per gli anni in cui il requisito è soddisfatto. Resta fermo che gli altri anni concorreranno ugualmente al computo del quinquennio.
Nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate ha osservato che “l’Istante non può applicare l’agevolazione fiscale di cui all’art. 16 del D.Lgs. 147/2021 ai redditi erogati al dipendente considerato che gli stessi non sono stati prodotti nel territorio italiano e che, pertanto, per il periodo di imposta 2020 l’attività lavorativa non è stata svolta prevalentemente nel territorio dello Stato”. Il lavoratore durante il 2020 ha, infatti, prestato attività lavorativa in Italia per soli 76 giorni (a fronte del minimo di 183 gg),
L’Agenzia delle Entrate fa presente, altresì, che il lavoratore, se il reddito prodotto dovesse essere assoggettato ad imposizione ai sensi dell’art. 15 della Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore tra Italia e Paesi Bassi, potrà fruire del credito per le imposte estere nei limiti di cui all’art. 165 del TUIR.