Osservatorio

Licenziamento per giusta causa, niente tutela indennitaria “forte” se il fatto causante è punito con sanzione conservativa dal CCNL (Andrea Di Nino, Sintesi – Ordine dei Consulenti del Lavoro, ottobre 2022)

31 Ottobre 2022

Con la sentenza n. 24438 dell’8 agosto 2022, la Corte di Cassazione si è espressa in merito alla legittimità del licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore dipendente per l’inosservanza del regolamento aziendale.

In particolare, il lavoratore era impiegato da una struttura alberghiera con la mansione di fattorino. Lo stesso, stando alla ricostruzione dei fatti, si era recato presso la struttura alberghiera al di fuori dell’orario di lavoro e ivi aveva stazionato in attesa di ospiti da accompagnare, come da precedenti accordi. Di fatto, però, il lavoratore decideva di accompagnare repentinamente, con il proprio mezzo, altri ospiti in attesa del taxi, nonostante i colleghi di servizio avessero cercato di dissuaderlo, con conseguente danno all’immagine dell’hotel.

Sul punto, la Corte di appello di Catania, accogliendo il reclamo principale presentato dal datore di lavoro avverso la pronuncia del tribunale locale, dichiarava risolto il rapporto di lavoro fra le parti dalla data del licenziamento e condannava la società al pagamento, in favore del lavoratore, di una indennità risarcitoria onnicomprensiva pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

La Corte territoriale, a fondamento di tale decisione, considerava che per le conseguenze sanzionatorie, non potendosi opinare il fatto grave per la unicità dell’episodio e per gli effetti da esso determinati, la sanzione espulsiva appariva sproporzionata e, pertanto, escludeva la tutela ex art. 18, co. 4, Legge n. 300/1970, applicando la tutela indennitaria cd. “forte” ex art. 18, co. 5.

Avverso detta sentenza, il lavoratore proponeva ricorso in Cassazione, cui il datore di lavoro resisteva con controricorso. In particolare, il ricorso si basava su distinti motivi. In particolare, il lavoratore sosteneva che la Corte di merito, disattendendo i principi in materia, fosse entrata in palese contraddizione nella motivazione della sentenza affermando, da un lato, che il comportamento sanzionato non era meritevole dell’effetto espulsivo e, dall’altro, confermando il licenziamento intimato. Inoltre, veniva sottolineato che le circostanze rassegnate dal datore di lavoro erano perfettamente tipicizzate e disciplinate dal CCNL, che prevede l’applicazione di una misura conservativa, non potendo la ipotesi contestata rientrare nella misura più grave prevista dallo stesso CCNL.

Il motivo in esame veniva ritenuto fondato da parte della Corte di Cassazione. Nel dettaglio, la Suprema Corte ha illustrato come il CCNL applicato al rapporto di lavoro preveda, “in ipotesi di inosservanza di leggi, disposizioni, regolamenti ed obblighi di servizio che rechino pregiudizio agli interessi del datore”, la sospensione del lavoro fino a sette giorni. Il CCNL stesso, “qualora le sopra citate ipotesi rivestano particolare gravità e sempre che tale gravità non sia diversamente perseguibile”, dispone altresì la sospensione dal lavoro da otto a dieci giorni.

Viene precisato, sul punto, che per la configurabilità di un licenziamento per giusta causa occorre che “l’inosservanza di disposizioni, regolamenti ed obblighi di servizio, già di per sé grave, presenti un ulteriore “surplus” di gravità”; pertanto, è necessario essere in presenza di una gravità “massima ed estrema”, non era ravvisabile nella fattispecie in esame, avendo riguardo al carattere episodico ed isolato del fatto contestato. La Corte territoriale opinava, quindi, che la sanzione espulsiva risultava “eccessiva e sproporzionata”.

Tutto quanto sopra considerato, i giudici della Cassazione osservavano che, una volta esclusa, da parte della Corte territoriale, l’applicabilità dell’art. 204 CCNL, che consente in particolari ipotesi di gravità massima ed estrema la sanzione espulsiva, i giudici di seconde cure “avrebbero dovuto valutare la applicazione o della disposizione dell’art. 202 o di quella dell’art. 203 del CCNL che puniscono, con sanzioni conservative, la stessa condotta, ritenuta dimostrata, non connotata da quel tipo di gravità, senza procedere ad un giudizio di proporzionalità della sanzione applicata”.

In altri termini, se non era applicabile l’art. 204 CCNL – come pacificamente ammesso dalla Corte di appello – la fattispecie era automaticamente regolata o dall’art. 202 e dall’art. 203 CCNL, che disciplinano la medesima condotta senza, però, quel “surplus” di gravità richiesto dalla prima disposizione citata, non essendo, quindi, possibile ricorrere all’esame della sproporzionalità della sanzione qualora si sia in presenza, cioè, di una previsione della contrattazione collettiva che preveda, per quel comportamento, una sanzione conservativa.

Il motivo di ricorso da parte del lavoratore veniva quindi accolto, con rinvio alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione.

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