L’Agenzia delle Entrate, mediante diverse risposte ad interpello, si è espressa in merito al trattamento fiscale delle somme erogate a titolo di rimborso spese nei confronti dei dipendenti in smart working.
In particolare, nelle tre risposte ad interpello qui in argomento – ovverosia la n. 314/2021, la n. 328/2021 e la n. 371/2021 – l’autorità fiscale ha ripercorso lo stato attuale della normativa che fissa i criteri utili a determinare l’entità del reddito di lavoro dipendente, esaminando, a seguire, le singole fattispecie caso per caso.
Oggetto della risposta ad interpello n. 314/2021, nel dettaglio, è stato il rimborso spese forfettario devoluto dal datore di lavoro ai proprio dipendenti in smart working: detto rimborso corrisponde ad un importo di Euro 0,50 spettante a ciascun lavoratore per ogni giorno di lavoro da remoto. Tale somma – quantificata alla luce del confronto tra il risparmio giornaliero dell’impresa ed i costi quotidiani sostenuti dai lavoratori – risulta, nelle intenzioni del datore di lavoro, funzionale a “tenere indenni i dipendenti dalle spese che si troveranno a sostenere per ragioni lavorative quando opereranno presso la propria abitazione”.
Sul punto, l’Agenzia delle Entrate ha dapprima ricordato come – considerato il contenuto dell’art. 51, comma 1 del TUIR, che sancisce il principio di onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente – “in linea generale […] tutte le somme che il datore di lavoro corrisponde al lavoratore, anche a titolo di rimborso spese, costituiscono per quest’ultimo reddito di lavoro dipendente”.
Ad ogni modo, viene rilevato che, in deroga al sopra citato principio, “possono essere esclusi da imposizione quei rimborsi che riguardando spese, diverse da quelle sostenute per produrre il reddito, di competenza del datore di lavoro, anticipate dal dipendente, ad esempio, per l’acquisto di beni strumentali di piccolo valore, quali la carta della fotocopia o della stampante, le pile della calcolatrice, etc.” (circolare dell’AE n. 326/1997). Inoltre, l’autorità fiscale ricorda che “le spese sostenute dal lavoratore e rimborsate in modo forfettario sono escluse dalla base imponibile solo nell’ipotesi in cui il legislatore abbia previsto un criterio volto a determinare la quota che, dovendosi ritenere feribili all’uso nell’interesse del datore di lavoro, può essere esclusa dall’imposizione”.
In assenza di tale determinazione operata dal legislatore, viene chiarito che i costi sostenuti da parte del lavoratore nell’esclusivo interesse del datore di lavoro debbano essere individuati sulla base di criteri “oggettivi” e “documentalmente accertabili”, così da beneficiare del regime di esenzione.
Nel caso prospettato dall’istante, l’Agenzia evidenzia che tali criteri sono effettivamente stati utilizzati da parte dell’impresa per determinare la quota di rimborso spettante a ciascun lavoratore: pertanto, al rimborso giornaliero forfettario di Euro 0,50 potrà applicarsi il regime di esenzione fiscale tipico dei rimborsi spese.
Nella risposta ad interpello n. 328/2021 viene, invece, affrontato il caso di un’impresa intenzionata a pattuire con i lavoratori in smart working un rimborso pari al 30% del costo dei consumi domestici da loro sostenuti per connessione internet, corrente elettrica, aria condizionata, riscaldamento, etc.
Per le medesime motivazioni illustrate nell’interpello precedente, l’Agenzia delle Entrate ha, questa volta, negato il proprio parere favorevole all’applicazione del regime di esenzione a tali rimborsi. Difatti, un rimborso genericamente identificato nella misura del 30% dei costi sostenuti dai lavoratori non deriva dall’applicazione di quei criteri “oggettivi e documentalmente accertabili” che devono guidare il datore di lavoro nella determinazione dell’importo dei rimborsi.
“Al fine di non far concorrere il rimborso spese alla determinazione del reddito di lavoro dipendente” – illustra infatti l’Agenzia – “occorrerebbe adottare un criterio analitico che permetta di determinare per ciascuna tipologia di spesa […] la quota di costi risparmiati dalla società che, invece, sono stati sostenuti dal dipendente, in maniera tale da poter considerare la stessa quota […] di costi rimborsati a tutti i dipendenti riferibile a consumi sostenuti nell’interesse esclusivo del datore di lavoro”.
Infine, nella risposta n. 371/2021 si esamina l’interpello presentato da un’impresa intenzionata a rimborsare a ciascun dipendente in smart working il costo della connessione internet domestica, così da agevolare la resa della prestazione lavorativa da remoto.
In relazione alla fattispecie in esame, l’Agenzia delle Entrate ha osservato che “il rimborso da parte del datore di lavoro non è relativo al solo costo riferibile all’esclusivo interesse del datore di lavoro, dal momento che l’istante rimborserebbe tutte le spese sostenute dal lavoratore per l’attivazione e per i canoni di abbonamento al servizio di connessione dati internet”.
Viene inoltre rilevato come la relazione tra l’utilizzo della connessione internet e l’interesse del datore di lavoro risulti dubbio, poiché il contratto relativo al traffico dati non è scelto e stipulato dal datore di lavoro che, limitandosi a rimborsarne i costi, rimarrebbe “estraneo al rapporto negoziale instaurato con il gestore”. Dalla descrizione della fattispecie non emerge, altresì, l’entità precisa dell’importo del costo che verrebbe rimborsato da parte del datore di lavoro ai dipendenti.
Anche in quest’ultimo caso, dunque, la determinazione del rimborso risulta fallace sotto il profilo dei parametri oggettivi e documentabili, utili a consentire l’esenzione fiscale e contributiva di tali somme.
Sulla base di quanto osservato, l’Agenzia delle Entrate è pertanto risultata dell’avviso che “il costo relativo al traffico dati che la società̀ istante intende rimborsare al dipendente, non essendo supportato da elementi e parametri oggettivi e documentati, non sembra poter essere escluso dalla determinazione del reddito di lavoro dipendente e, conseguentemente, rileverà̀ fiscalmente nei confronti dei dipendenti ai sensi dell’articolo 51, comma 1, del TUIR”.