Con l’ordinanza dello scorso 17 luglio, il Tribunale di Foggia ha affermato che i giorni in cui il lavoratore – già assente per malattia – viene posto in Cassa Integrazione vanno computati ai fini del superamento del periodo di comporto non avendo il datore il potere di modificare il titolo dell’assenza.
I fatti di causa
Nel caso di specie, un dipendente veniva licenziato per aver fruito di un periodo di malattia di complessivi giorni 430 a fronte dei 420 giorni previsti dal contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro.
Il lavoratore impugnava in giudizio il provvedimento, eccependo di essere stato collocato, unitamente a tutti gli altri dipendenti della società datrice di lavoro, in Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria con causale Covid-19. La collocazione in cassa, a suo dire, aveva sostituito ad ogni effetto il periodo di malattia di cui stava fruendo.
A sostegno della propria tesi, il lavoratore richiamava l’art. 3, comma 7, del D.lgs. 148/2015, nonché la Circolare INPS n. 197/2015, secondo al quale “il trattamento di integrazione salariale sostituisce in caso di malattia l’indennità giornaliera di malattia, nonché l’eventuale integrazione contrattualmente prevista”.
La decisione del Tribunale
In primis, il Tribunale di Foggia, richiamando le argomentazioni espresse dal Tribunale di Pesaro con sentenza n. 16/2021, ha sottolineato che con la sopra citata disposizione il legislatore ha inteso esclusivamente prevedere una diversa imputazione della prestazione economica ricevuta dal dipendente in caso di fruizione di un periodo di integrazione salariale. Prestazione che resta, comunque, di competenza dell’INPS, non volendo il legislatore intervenire sulla causale dell’assenza che attiene, invece, al rapporto privato tra lavoratore e datore di lavoro.
Il Giudice ha così voluto evidenziare come tale diversa imputazione non ha alcuna connessione con l’istituto del comporto e con il titolo della sospensione della prestazione lavorativa.
È infatti da escludere, secondo il Tribunale, che il datore di lavoro possa arbitrariamente mutare il titolo dell’assenza del lavoratore quando lo stesso è in malattia. Ciò, si porrebbe in contrasto con un diritto costituzionale, quale il diritto alla salute.
In quest’ottica, il Tribunale ricorda che il mutamento del titolo dell’assenza è consentito solo se è il lavoratore a richiederlo, come ad esempio avviene quando il dipendente sostituisce alla malattia la fruizione delle ferie allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto.
In questo caso, grava poi sul datore di lavoro accettare o meno tale richiesta e, in caso di rifiuto, dedurre le ragioni organizzative che hanno portato al mancato accoglimento della richiesta. In difetto di prova contraria opera una presunzione di continuità dell’episodio morboso addotto dal dipendente quale causa della sospensione della prestazione lavorativa.
Traslando quanto sopra nel caso di specie, a parare delle Corte, il lavoratore, avendo trasmesso i certificati di malattia in modo continuativo, ha dimostrato, con comportamento concludente, di voler proseguire lo stato di malattia, con conseguente avanzamento del periodo di comporto.
Secondo il Tribunale, a nulla vale la circostanza dedotta in giudizio dal dipendente, secondo cui la società non gli avrebbe mai comunicato il suo collocamento in cassa integrazione CIGO: ciò che si rileva è che il lavoratore abbia continuato ad inoltrare al datore di lavoro i certificati medici attestanti il suo stato di malattia.
Sulla base di tutte le motivazioni sopra citate, il Tribunale di Foggia ha rigettato il ricorso e compensato le spese di lite.